Bachelard ne La poetica dello spazio scrive che «lo spazio colto dall’immaginazione non può restare lo spazio indifferente, lasciato alla misura e alla riflessione della geometria: esso è vissuto e non lo è solo nella sua positività, ma con tutte le parzialità dell’immaginazione». Lo sanno molto bene Giorgio Vasta e Miguel Vila, le cui produzioni letterarie e artistiche presentano una geocritica degli spazi ragionata e un'architettura del testo quasi maniacale.
I due autori si confrontano a Festivaletteratura, con la mediazione di Nicolò Porcelluzzi, su come il romanzo e il fumetto sappiano raccontare il modo in cui il paesaggio urbano sia innervato dalla società e dagli individui. Miguel Vila utilizza il fumetto per presentare la provincia diffusa veneta nella sua trilogia del Nordest, composta da Comfortless, Padovaland, e Fortezza volante. A ogni passo appare chiaro l’intento di restituire una psico-geografia che possa descrivere l’hinterland padovano. Fiordilatte, ad esempio, è ambientato in una cittadina immaginaria delle stesse dimensioni di Bassano Del Grappa, della quale ha tutte le fattezze e i rimandi agli spazi vissuti, ai luoghi empirici studiati quasi con un'attenzione entomologica. La «chimica delle composizioni», come racconta Vila, si muove su due ruote: una bici che esplora la provincia e che si fissa sugli spazi sterminati delle campagne tagliate dalle strade provinciali, sulle rotonde, sui cartelli stradali, sui luoghi disabitati a lato. Più pedala, più lo sguardo si fissa e più aumenta il desiderio di rendere le case vive, di farle abitare.
«Il tempo materiale è stato scritto nella gelida Helsinki, non ho mai passato così tanto tempo a Palermo come in quel periodo, sia con l’immaginazione, sia attraverso street view». Il rapporto tra gli spazi e la toponomastica erano fondamentali e solo nel cercare di creare una cartografia cognitiva, Vasta si rende conto che l’unico luogo che può descrivere è quello che sa – nel senso di conoscenza dei sensi – di cui ne conosce il sapore. Nel suo caso è una Palermo dal sapore amaro. Allo stesso modo, per codificare gli anni '70 e tentare di descriverne la piccola borghesia, la chiave di volta sta in un recupero materiale degli oggetti: i mobili a zampa di leone, possibilmente con delle superfici in marmo, le bomboniere e gli animaletti di cristallo sbeccati adagiati sulle mensole. La costituzione psichica dei personaggi deve emergere come una prosecuzione di quella carta da parati colorata.
Il ritmo di Giorgio Vasta, autore di Absolutely Nothing. Storie e sparizioni nei deserti americani (con Ramak Fazel, Humbold Book, 2016), Palermo. Un'autobiografia nella luce (con Ramak Fazel, Humbold Book, 2022) diversamente da quello di Miguel Vila somiglia più a un camminare incessante e percussivo, alla flânerie. Il suo modo di camminare ricorda più la fuga che un attraversamento nudo, come in Fame di Knut Hamsun o Cervelli di Gottfried Benn, dove la voce narrante e il fuggire divengono indistinguibili. Quasi di una matrice nevrotica che ricorda il modo di guardare puerile: se però da bambini lo sguardo esterno ci restituisce un senso di meraviglia, un adulto che rifugge nella folla attraversando lo spazio è per definizione perturbante, inquietante. Indecifrabile. Rifugge e si protende verso un altrove. Scappa come le parole di Vasta: le sue frasi fuggono, un inseguimento verso qualcosa che non fa altro che, appunto, sfuggire.
Giorgio Vasta, Ramak Fazel - Absolutely Nothing - Quodlibet
L'editrice Humbolt, in coedizione con Quodlibet, nasce con l’intento di raccontare gli spazi attraverso un lavoro fototestuale, dove alle fotografie si sussegue il corpo del linguaggio. Il titolo, inglobando il paradosso, raccoglie la sfida che lo spazio ineffabile del deserto pone alla lingua. Giorgio Vasta e Ramak Fazel volevano raccontare le ghost town statunitensi in una sorta di reportage, mano a mano che vi si addentravano però il discorso ha subito un ulteriore giro di vite e si è articolato sugli spazi abbandonati, seguendo la rotta dei luoghi marginali, spopolati o disabitati. Cosa accade agli spazi perduti quando vengono arsi, sgretolati, dal tempo e dalla desolazione? La linearità testuale e geografica lascia presto il posto ad un senso di spaesamento, di disorientamento percettivo. I parchi, le stazioni di servizio, gli impianti dismessi e le città paiono sfidare il deserto che, silenziosamente, non si oppone. Ma sarà solo questione tempo prima che la sabbia si riprenda irrimediabilmente il suo spazio inglobando i rottami antropici.
C'è un passo in cui Vasta tenta di descrivere lo spazio abbandonato cercando le parole per nominalo: qui lo sguardo pare sfidare il linguaggio misurando i suoi limiti e le sue risorse. Vasta attraverso una serie di lemmi stringe il referente e tenta l’ecfrasi letteraria di una casa abbandonata. «Le condizioni erano frustranti e allo stesso tempo fertili – racconta – mi rendevo conto che il desiderio del linguaggio di nominare qualcosa fosse frustrante, ma al contempo stimola la parola». Qui si scopre tutta la fallacia del linguaggio, il quale può solo determinare una tensione verso l’oggetto ma mai definirlo, come fosse il Coyote che insegue Bip Bip senza catturarlo. Perché semplicemente non è dato, si tratta di un cuore di tenebra. Ogni parola cerca di avvicinarcisi nevroticamente per poi precipitare miseramente, svelando che la fallacia è il vero motore poetico.
L'intervista di Giorgio Vasta con la redazione di Festivaletteratura