Parlare di mostri in una chiesa: una miscela strana, eppure azzeccata e vincente.
Luca Scarlini, per suo vanto, non presentava libri da ventisette anni: quest’eccezione, che conferma la regola, mette allo stesso tavolo tre autori diversi, tre libri diversi e tre storie che apparentemente non condividono nulla. Con notevoli doti da intrattenitore, Scarlini conduce questo incontro a tre voci ricostruendo dei punti in comune, guidando la conversazione attraverso le pieghe del tempo, alla ricerca dei «mostri che si annidano nel presente» e nella storia.
Da un lato, la Germania dei freaks, dall’altra la rocambolesca avventura di un gruppo di rivoluzionari che sottraggono al regime stalinista le spoglie di Lenin. Terzo polo, una storia autobiografica che parte dall'arte fiamminga e si intreccia alla stregoneria, o a ciò che per tale viene spacciata, per decostruire un’infanzia all’insegna del comunismo. Per mettere insieme queste storie, all’apparenza lontane, Scarlini sceglie alcuni sentieri comuni: il concetto di mostruosità; il corpo, e il potere di cui questo può essere pregno; il rapporto con la scienza; l’intreccio morboso di bellezza, violenza e poesia.
I corpi dei freaks vengono messi al centro dell’attenzione per la loro stranezza, occupano lo spazio infrangendo le aspettative, creano diffrazioni nella norma: questa stranezza, questo disagio, pare comune all’esperienza di Ade Zeno, autore de I santi mostri (Bollati Boringhieri, 2024). Con una certa timidezza accenna al proprio disagio, al proprio difficile rapporto con il corpo, che ha spesso percepito come un ingombro, un peso da trascinare con sé: disagio che ha trasferito nella propria opera, nel racconto della storia di un gruppo di freaks, che sono però in fondo nulla più che «ragazzini», che gestiscono le difficoltà che la vita mette loro davanti. Tutto ciò nello straordinario scenario della Germania di Weimar (descritto mirabilmente da Ingmar Bergman ne L’uovo del serpente) e di recente tornato alla ribalta grazie a Babylon Berlin, quel quindicennio «miracoloso» all’insegna della dissolutezza, che ha preceduto il «buco nero» del nazismo.
«Tra mostri ci si può riconoscere e creare una famiglia», commenta Zeno. Una mostruosità "positiva" che, se messa a paragone con ciò che al tempo era appena di là da venire, sfuma i propri confini, mostrando il paradosso del definire “mostro” chi è diverso da sé. In una simile diversità può, inoltre, nascondersi tanta bellezza, che sconvolge e lascia interdetti gli spettatori. Cosa significa bellezza? Può dimorare nelle contraddizioni? Raccontando l’esperienza del diverso, Zeno pare condurci verso una messa in discussione di qualsiasi risposta canonica, mettendo al centro il valore catartico e salvifico della poesia.
Se i corpi dei freaks sono vivi, pieni di energia e sempre in movimento, quello al centro de L’ultimo viaggio di Lenin (Neri Pozza, 2024) è invece un corpo ormai privo di vita, eppure capace di esercitare uno straordinario potere sulla realtà che lo circonda: un corpo elevato a icona, la “porta regale” verso l’eternità. Francesco Pala si è lasciato affascinare dal potere simbolico di questa immagine, la venerazione di una salma che avrebbe rappresentato l’eternazione non solo di colui che era morto, ma del comunismo tutto. In un regime che si proclamava assolutamente antireligioso, quel corpo assunse il potere di un’icona religiosa: attraverso un cadavere mummificato il comunismo sembrava aver sconfitto la morte. E come i freaks trasgredivano ogni norma, il gruppo di fanatici che sottraggono la salma di Lenin diventa una banda di trasgressori, mostri che si oppongono al sistema: sognano l’utopia dell’utopia, perseguono con fede cieca un progetto folle, ma che per loro non può che divenire realtà. Un gruppo di asceti che rifiuta il corpo, tra i quali spicca una figura, un edonista che a questo stesso corpo non vuole rinunciare.
Il filo conduttore che più di ogni altro tiene insieme questi cari, amatissimi mostri è allora proprio il corpo: Scarlini disegna una rete che porta verso gli anni Settanta e prosegue verso il presente. Ricorda la propria infanzia, il gruppo di donne radunate attorno alla Graziosa, una donnina alta un metro e quarantatre, ma in grado di dominare totalmente la scena e la realtà che la circondava, costruendo attorno a sé una sorta di congrega di streghe. Scarlini descrive un mondo dominato dagli uomini, in cui queste donne trovano, ricavano uno spazio con i loro corpi che spaventano. Lo spauracchio della strega domina il circondario e conferisce a Graziosa e alle sue compagne un'aura quasi mistica. La fascinazione per questi corpi in grado di dominare un mondo apparentemente solo maschile ha spinto l’autore a ripercorrere questa storia, per raccontare le crepe della struttura, i punti che non tengono nella rigidità, solo apparentemente inamovibile, del sistema patriarcale.
Cos’è oggi, allora, un mostro? Si può continuare ad allontanare il diverso da sé unicamente per paura del confronto? Nella diversità può celarsi la bellezza, o almeno qualcosa che necessita di interpretazione: osservare il mondo con la lente della complessità permette di superare dicotomie ormai stitiche e immaginare futuri che rompano con il passato, creando spazi per “mostri” che mostri in realtà non sono.