Un frizzantissimo Francesco Costa, pungolato dagli arguti interventi del moderatore Luca Pareschi, è stato il protagonista dell’edizione di Accenti di giovedì sera nella cornice di Tenda Sordello. Tema: la cultura americana nelle serie TV. Di fronte ad alcuni spezzoni di note serie (rigorosamente non concordati) il noto giornalista siciliano è stato chiamato a cogliere tutti gli aspetti possibili della mentalità e della società statunitensi e a spiegarli al pubblico. Detto fatto, prova superata: con l’ironia e la sintetica esaustività che lo contraddistingue, Costa è riuscito appieno a dipingere un altro piccolo affresco del mondo d’oltreoceano che tanto lo (e ci) incuriosisce.
Si parte con The West Wing, «la migliore serie che sia stata fatta sulla politica americana», in cui i protagonisti della scena sono… dei fagiolini, colpevoli di non piacere al presidente in campagna elettorale. La preoccupazione del suo staff è giustificata dal fatto che sì, anch’essi possono rivelarsi qualcosa d’importante, dal momento che «durante le elezioni, tutti diventano più stupidi». La campagna elettorale, in fondo, è una lotta per guadagnare attenzione: con il discorso razionale, ma anche con gesti simbolici, con elementi apparentemente futili e con una comunicazione più immediata. Tanto negli USA quanto in Italia, tanto con i fagiolini quanto con i rosari.
Poi Shameless, in cui emerge il tema del bullismo a scuola e del suo, per così dire, valore formativo. Considerando anche che in America esistono una tolleranza e un’abitudine molto maggiore alla violenza rispetto all’Italia (dopotutto le sparatorie anche a scuola sono frequenti, e a studenti e insegnanti è specificamente ricordato periodicamente quali sono i comportamenti migliori da adottare in questi casi), l’americano medio crede nella formazione personale che può derivare dal dolore. Chi è stato bullizzato a scuola, si dice nella scena, ha maggiori possibilità di diventare forte in futuro. Negli USA la capacità individuale di superare le difficoltà è percepita come particolarmente importante, particolarmente vicina alla sensibilità comune. Il loro cinema e la loro letteratura sono pieni di figure di individui che lottano duramente contro un intero sistema per affermare la giustizia della propria posizione e superare così una situazione problematica altrimenti irrisolvibile.
La terza serie a comparire è Mad Men, che ricostruisce molto bene l’America degli anni '60. Stavolta il punto è la pubblicità e la sua virtù poietica di suggestionare e autosuggestionare, di creare quasi dal nulla una realtà, dei mondi diversi. Questo è particolarmente innegabile se pensiamo a ciò che sono gli Stati Uniti veri, al di fuori delle famose e luccicanti città della costa: un’innumerevole quantità di piccoli paesini tristi e vuoti, senza identità. Il crearsi da soli un mito tramite la pubblicità, come quello di avere le alette di pollo più buone del mondo o il parco più curato, serve loro per andare avanti, sentirsi in qualche modo diversi, speciali, non anonimi.
È quindi il turno di The Bear e del tema delle seconde opportunità. Noi qui crediamo talvolta che negli States il fallimento sia più tollerato, che sia tutto più facile. In realtà, cadere negli Stati Uniti fa molto male. Per esempio, i senzatetto italiani sono per lo più persone con una vita rovinata pressoché totalmente, che hanno poco o niente e vivono alla giornata. In America, invece, nelle grandi città è normale vederli uscire la mattina dalle loro tende vestiti come chiunque altro per andare a lavoro: perché un lavoro spesso ce l’hanno, ma non è comunque sufficiente per permettere loro di pagare una casa. Qual è allora la differenza? Che negli USA è facile avere seconde opportunità: se cadendo non ti sei fatto troppo male e hai la forza per tornare alla carica, ti è data la facoltà di dimostrare quanti vali. Opportunità che in Italia non è mai semplice ottenere.
Infine, The Newsroom. Il commento di Costa qui è molto deciso e severo: si tratta di una scena particolarmente reazionaria e disonesta, frutto della più becera mentalità repubblicana. Si tratta infatti di una laudatio temporis acti in piena regola, fine a se stessa: un discorso in cui si lamenta la decadenza attuale degli Stati Uniti e lo stato di degenerazione a cui sono arrivati. La gloria americana, la grandezza del Paese, appartengono invece al passato, un passato a cui guardare con commossa nostalgia. Ma in realtà, in questo caso come in altri, esso semplicemente non esiste. Credere che l’America di ieri fosse migliore significa negare l’importanza delle conquiste dei diritti per le donne, i neri, gli omosessuali avvenute in tempi recenti. Significa di fatto esaltare la guerra fredda, con la sua paura totalizzante dell’apocalisse atomica e dell’invasione comunista.
Chi mai oggi vorrebbe vivere nell’Italia degli anni Cinquanta? Chi mai preferirebbe essere nato nel Seicento, nel medioevo, in epoca romana piuttosto che oggi, in una situazione sì piena di difetti e storture (come ogni altra epoca, del resto), ma in cui esistono in Occidente un benessere generalizzato, conoscenze mediche notevolmente più vaste, una maggiore aspettativa di vita, la possibilità di divorziare o di abortire, pace anziché guerre o razzie continue tra signorotti? Bisogna dunque piuttosto concentrarci sul nostro presente, pur sapendo che anch’esso è un periodo terribile, perché terribile è l’essenza stessa del mondo e della vita, e fare ciò che è in nostro potere per migliorarlo. E scopriremo che ciascuno di noi, nel suo piccolo, può in realtà realizzare molte più cose alla sua portata di quanto avrebbe mai creduto.
L'intervista di Francesco Costa con la redazione di Festivaletteratura