Impossibile parlare di moda, nei giorni del Festival, senza ricordare Giorgio Armani. Un ritratto, quello che traccia Maria Luisa Frisa, che anticipa così alcune parole chiave dell’incontro tra moda e letteratura: «Associato al classico, mi piace invece ricordare la rivoluzione di Giorgio Armani: la giacca destrutturata non è solo più facile da portare, ma anche l'interpretazione di una nuova mascolinità che dichiarava il proprio desiderio e la propria fragilità».
Frisa porta poi l’attenzione al contributo di Armani per il riconoscimento del made in Italy nel mondo, e della spinta allo “stilismo”, cioè il nuovo ruolo dello stilista: che non solo definisce lo stile degli abiti della contemporaneità, ma mette anche a regime la creatività industriale e la memoria artigianale. Un autore che ha saputo muoversi tra alta moda (Armani Privé) e moda accessibile (Emporio Armani), e che lascia un’eredità importante per l’economia e la cultura italiana. Ma non solo: un autore che ha avuto un impatto culturale anche sul cinema, dagli abiti (non costumi, un vero guardaroba) iconici di Richard Gere in American Gigolo alla nuova immagine della donna vincitrice delle battaglie del neofemminismo interpretata da Melanie Griffith in Una donna in carriera.
Classici che hanno sempre qualcosa da dire (a qualunque appassionato lettore, non sfuggirà il fantasma di Italo Calvino), ritratti del contemporaneo, fluidità tra linguaggi, e un’impronta digitale-artistica riconoscibile: se non avessimo svelato all’inizio che si trattava di Armani, avremmo potuto pensare al ritratto di uno scrittore.
Il tema del classico è forse uno dei primi punti di contatto tra moda e letteratura, racconta Davide Coppo, altrimenti divise da un fluire del tempo completamente opposto: veloce quello della moda, di ricerca lenta quello della letteratura. Eppure, incalza Olga Campofreda, abbiamo tanti esempi di scrittori e scrittrici appassionati di moda: dov’è avvenuto lo strappo?
Lo strappo sembra ritrovarsi in una parola che torna spesso negli incontri del Festival di quest’anno: la prospettiva. Iniziamo dalla fotografia di Donatella di Pietrantonio alla finale del Premio Strega, vestita con un abito di ETRO: la reazione che scatenò fu anche quella di chiedersi se gli scrittori sarebbero stati sfruttati dalla moda come degli influencer. Ma Frisa ci spinge a cambiare prospettiva: Di Pietrantonio sapeva di essere a un evento pubblico importante, e ha deciso di vestirsi in un modo che la facesse stare bene, sentirsi sicura anche in una situazione in cui tutti gli occhi sarebbero stati puntati su di lei. E come lei, ricorda Coppo, anche Durastanti e Cognetti, per citare i più recenti, fecero scelte simili, usando nella stessa occasione la moda come statement.
E, come loro, ognuno di noi la mattina, pur non andando alla finale del Premio Strega, sceglie degli abiti che lo rappresentino, lo facciano sentire bene in casa o in luoghi pubblici. E se per un momento ci sfiora l’idea che la moda non ci riguardi, lo spettro di Miranda Priestley verrà a farci visita a mezzanotte: la moda è infatti un sistema molto complesso e pervasivo, che impatta sia l’ambito economico sia l’ambito culturale, di rappresentazione e interpretazione di quello che accade.
«Non si può ridurre un’espressione culturale, come la moda, alla sola frivolezza».
Anzi, Campofreda ci propone una serie di ritratti di scrittori e scrittrici, le cui scelte di stile sono un’eco della loro immagine intellettuale. A partire da Pasolini, con camicie e costumi colorati sul set di Medea, accanto a una bellissima Callas, e con la sua uniforme borghese indossata con aggressiva eleganza, e di fatto immagine dominante del vestire maschile almeno fino alla nascita dell’uomo-moda proposta da Armani e Versace.
Ma anche Simone de Beauvoir, che si diceva totalmente disinteressata alla moda, poi vestita in abiti sartoriali dal taglio personalizzato e ormai iconico, che hanno contribuito a delineare un’immagine di intellettuale impegnata in suo totale controllo. Un disegno così capillare e solido da portarla a decidere di posare nuda, non più giovanissima, vista attraverso gli occhi di un amante, con il coraggio di presentarsi per quello che si è, con l’assenza di paura come scelta di moda.
Un’immagine che utilizza il simbolo della nudità con lo sguardo acuto di chi i simboli li conosce e li usa nella sua pratica di scrittura. E a volte li decostruisce: come Carla Lonzi, fotografata con una ruota panoramica a farle da aureola e un cappotto rosa, forse inaspettato per il personaggio, ma sicuramente scelto perché rappresentativo di sé.
Basta questo a ricucire lo strappo tra moda e letteratura? No, perché il cambio di prospettiva deve superare anche la diffidenza, «il timore dell’appropriazione, di una moda che prende senza ridare nulla, senza una ricaduta economica anche sull’ambito culturale-letterario», dice Coppo.
Eppure l’uso della moda renderebbe alcuni ritratti molto immediati: lo sa bene Bret Easton Ellis, a cui basta citare le “polo con il colletto rialzato” per fornirci un’immagine chiara di specifici personaggi. Lo sa Deborah Levy, che usa la moda come strumento di empowerment. Eppure sembrano averne pudore molti scrittori e scrittrici contemporanei.
Non è timida la moda, invece, che si appoggia spesso e volentieri alla letteratura, anche per supportare la visione del direttore creativo: è il caso di Alessandro Michele per Gucci prima e Valentino ora, che pesca a piene mani dai classici latini e rinascimentali per raccontare una moda che rompe i canoni e gli argini della bellezza e dell’arte. Ed è stato il caso anche del sodalizio tra Maria Grazia Chiuri e Chimamanda Ngozi Adichie, con l’utilizzo del titolo We should all be feminists sulle t-shirt bianche presentate nella sua prima sfilata ufficiale per Dior. Racconta Frisa: «Chiuri veniva dopo una sequenza di uomini che avevano interpretato il femminile. Si era dunque posta il problema di come combinare moda e femminismo, un tema a lei molto caro: la collaborazione con Adichie è stata quindi uno statement importante sulla sua direzione creativa, e anche l’occasione di portare il saggio anche a una platea che difficilmente l’avrebbe intercettato».
La moda quindi, non fa solo scrittura. Ma tesse un intreccio di echi e sodalizi inaspettati, attraverso il filo sottile che unisce arte e rappresentazione del mondo. Uno sforzo di immaginazione e di creatività, quello di moda e letteratura, che – se trattiamo questi esempi come piccoli ricami, e cambiamo prospettiva – ci accorgiamo appartenere allo stesso grande tessuto. Il tessuto di una società che si racconta attraverso le trame dei libri e l’intreccio dei fili; l’ordito complesso di due ambiti artistici che affrontano la sovrapproduzione e la sostenibilità giorno per giorno, che tagliano cuciono legami e strappano dubbi etici.
Una tela di Penelope fatta di fili e parole, da indossare sul corpo, nell'avventura quotidiana della propria identità.