04 | 09 | 2025

Chi vede la guerra, chi immagina la pace

Rosella Prezzo dialoga con Maria Nadotti e Giorgia Serughetti della visione della guerra e dell'assenza di una rappresentazione di pace

Guerra è diventata tristemente una parola comune nel quotidiano, soprattutto dopo l'invasione dell’Ucraina da parte della Russia e il riaprirsi del conflitto tra Israele e Palestina. Oltre alle notizie dei morti, delle azioni militari, e dei loro sviluppi, la nostra conoscenza della guerra passa anche attraverso una dimensione visiva: fotografie, video, reportage, ma anche ciò che non ci è mostrato.

La questione dello sguardo è al centro del libro Guerre che ho (solo) visto di Rosella Prezzo, il cui titolo riprende quello di Gertrude Stein, Guerre che ho visto. Prezzo, insieme a Maria Nadotti e Giorgia Serughetti, parte dalla domanda: chi è colui che vede? Da cui si apre una riflessione sulla percezione contemporanea della guerra - e della pace.

Guardare la guerra attraverso uno schermo significa viverla a distanza, con un effetto derealizzante. Lo spettatore reagisce, prova disgusto o fascinazione, ma non percepisce la vicenda come propria. Questo distacco porta inevitabilmente a parlarne con maggiore leggerezza, mentre i corpi dei soldati scompaiono dallo sguardo e con essi la gravità dell’evento. Mancano l'olfatto e il tatto: restano vista e udito, che trasformano il combattimento in una realtà altra, a tratti simile ad un videogioco.

Il peso del corpo era già stato messo da parte nella guerra in ex Jugoslavia, definita “umanitaria” perché la NATO non ebbe morti. Questa assenza contribuì a rimuovere l’evento dalla memoria collettiva, ma l'esercito di profughi e profughe che ne seguì riportò la guerra nei territori rimasti formalmente in pace.

Se alla guerra sono state dedicate l'immaginazione, il cinema, il racconto e l'arte, la pace invece non possiede immagini concrete. L'unica rappresentazione è un'allegoria: una donna che con una fiaccola in mano brucia delle armi ai suoi piedi e, nello stesso tempo, abbraccia la Giustizia in un dialogo intimo.

Dunque cos'è la pace? Non è certamente il pacifismo, nel senso di volersi tutti bene, ma lo spazio in cui diventa possibile la lotta per i diritti e la giustizia. Rimane però priva di consistenza nell'immaginario: non esiste un Ministero della Pace, mentre esiste il Ministero della Difesa, pronto a gestire la guerra quando necessario.

Questa differenza di sguardo emerge anche nel confronto tra i conflitti attuali. Della guerra in Ucraina giungono pochissime immagini delle stragi, mentre quella di Gaza è costantemente sotto i nostri occhi. L'Ucraina ha evocato l'idea di un ritorno dei conflitti, anche se in realtà essi non si erano mai conclusi: semplicemente si erano spostati fuori dalla nostra visuale. Il conflitto israelo-palestinese lo dimostra, continuando da decenni.

Oggi diventa fondamentale una presa di coscienza e un agire consapevole. Non siamo di fronte solo a guerre lontane, ma a un buco nero che ci riguarda. In questo scenario è utile ricordare le parole di Hannah Arendt, citata dalle autrici: nella storia è importante che qualcuno accenda una luce nel buio.