I rapporti sentimentali cambiano, si trasformano, e spesso finiscono per non riconoscersi più nei corpi e negli spazi che un tempo rappresentavano un terreno comune. Al loro posto restano soltanto le macerie di un conflitto silenzioso.
È a questa metamorfosi che guardano i due romanzi d’esordio di Eleonora Daniel e Riccardo Meozzi, opere che sembrano dialogare tra loro come due dimensioni dello stesso tema, destinate quasi per caso a intrecciarsi.
La polvere che respiri era una casa (Daniel; Ed. Bollati Boringhieri) e Addio, bella crudeltà (Meozzi; Edizioni E/O) raccontano con intensità e lucidità l’arco di vita di due coppie contemporanee: dall’amore alla sua disgregazione, attraversando fragilità, mancanze e inevitabili perdite.
Nel confronto con Carolina Bandinelli, gli autori hanno scomposto e messo a fuoco gli elementi che accomunano e, al tempo stesso, dividono sia i loro personaggi sia le loro storie.
L’incertezza dei rapporti narrati da Daniel e Meozzi si radica soprattutto nella dimensione domestica. La casa non è solo uno spazio fisico, ma diventa specchio delle relazioni, trasformandosi insieme ad esse. Ogni coppia la abita in modo unico e, in questa quotidianità fatta di gesti e momenti, la casa assume via via ruoli diversi: luogo accogliente di inizio, rifugio di intimità, ma anche campo di battaglia. È la scenografia della costruzione e della distruzione di legami profondi.
Un elemento costante ma sotterraneo, in entrambi i romanzi, è il matrimonio. Nel dibattito quasi non viene affrontato direttamente, nonostante il titolo provocatorio, ma resta evocato come sintomo e sfondo delle relazioni. Il matrimonio cresce, si logora, si misura con la sua stessa fine: il disamore. I partner finiscono per parlarsi come stranieri, in lingue ormai inconciliabili. Un’eco che rimanda inevitabilmente alle Scene di un matrimonio di Ingmar Bergman. Da qui la domanda centrale: la fine di un amore è in qualche modo intrinseca nel suo inizio?
Meozzi, in particolare, riflette su come scrivere di una storia d’amore equivalga a rileggerla a posteriori. Raccontare significa colmare un vuoto, affrontare la consapevolezza della perdita. Ma la fine non riguarda soltanto i sentimenti: porta con sé anche un ribaltamento delle dinamiche di potere interne alla coppia, come in una partita in cui le carte vengono continuamente rimescolate.
A questo punto Bandinelli sposta l’attenzione sul corpo, protagonista imprescindibile dei due romanzi. Il corpo muta: da intimo e familiare diventa estraneo, terreno di vicinanza ma anche di distanza. Gli autori riflettono su come tradurlo in letteratura, passando dalla sua concretezza carnale a una dimensione simbolica, specchio del reale. Come la casa, anche il corpo si trasforma: da spazio condiviso diventa barriera, da luogo d’incontro confine di separazione.
Il confronto si chiude con il tema dell’assenza, centrale nelle due opere. Assenza come mancanza – di un luogo, di una persona, di un corpo – che diventa dinamica stessa dell’amore. Scrivere significa tentare di riappropriarsi di ciò che è perduto: una casa, un amore, una presenza. È questa assenza, in fondo, a costituire il nucleo della nuova narrazione sentimentale che Daniel e Meozzi propongono, attuale e radicata nelle complessità delle coppie di oggi.
Il dibattito, arricchito da riferimenti letterari, rivendica un citazionismo creativo che diventa materia di rielaborazione. Dai rimandi a Diario d’inverno di Paul Auster (per Meozzi) a Rilke (per Daniel), fino alle citazioni che danno il titolo stesso ai due romanzi – tratte da Quattro quartetti di T.S. Eliot e da La dodicesima notte di Shakespeare.
Un modo per ricordare che l’amore, con tutte le sue contraddizioni, non smette mai di essere materia viva di racconto: imperfetto, mutevole, ma sempre autentico.