Alla domanda «come vorresti essere presentato?» di Marcello Fois, Lukas Bärfuss risponde definendosi un caso speciale, dalla biografia particolare, cullato e cresciuto dalla cultura, qualcosa che non è di primo piano nel suo paese d’origine, la Svizzera. Per l’autore, invece, cultura e letteratura sono le fondamenta della sua vita, l’hanno fatto crescere, gli hanno insegnato più di quanto le istituzioni o la scuola non abbiano mai fatto, apprendendo da autodidatta. È stato senzatetto, ha lavorato come rappresentante di tabacco portandosi dietro un’esperienza traumatica e maldestra sui macchinari per la piantagione, ma rimaneva ammaliato e legato alla lunga tradizione di teatro popolare svizzero che permeava la sua famiglia, invischiata nella criminalità, da cui è riuscito preservare il proprio futuro. Racconta come le sale del teatro, impregnate del fumo di mille sigari, lasciavano spazio alle tre differenti suddivisioni dell’ambiente che prendevano forma sul palcoscenico: lo Jodel, il ballo in costumi tradizionali e la commedia contadina.
Lukas Bärfuss continua, spiegando come la forte presenza di violenza e criminalità che facevano da sfondo nei suoi affetti familiari, abbiano scaturito in lui il bisogno di evadere, una necessità di sopravvivenza, e la realizzazione del legame che c’era tra il proprio destino e la società. Nella sua famiglia non esisteva il concetto di orgoglio, bensì solo vergogna.
Alla domanda di Marcello Fois - ovvero se crede di essere stato salvato dalla letteratura - l’autore avalla questo concetto aggiungendo, però, che allo stesso tempo leggere molto aumenta il rischio di essere emarginati: la biblioteca è stata per lui rifugio, luogo protetto dalle intemperie, la fame culturale e la polizia. Si chiede, infatti, quanti luoghi di questo tipo, sicuri, affidabili e gratis esistano al giorno d’oggi.
Essere svizzero è un costrutto artificiale, la nazionalità ti viene affibbiata prima del nome, in un paese che, nonostante una visione esterna positiva, nasconde pagine buie della propria storia, tra cui il genocidio delle popolazioni nomadi e la razzia di bambini strappati alle famiglie più povere, per essere sfruttati in fabbrica o nelle praterie - quando erano più fortunati - . Anche per questo motivo, preferisce scrivere in maniera autobiografica, poiché non sarebbe in grado di inventare, prediligendo la descrizione di ciò che è realmente accaduto, al contrario della fiction. La visione della letteratura è come un fenomeno universale: il racconto va oltre la lingua stessa, sperando in un ritorno alla lingua dell’amore, e auspicando di diventare più critici nel concetto di memoria, soprattutto oggigiorno.