03 | 09 | 2025

Da Madame Bovary alle relazioni di cura

Carolina Bandinelli, Giorgia Tolfo e Roberto Camurri chiacchierano d’amore

«I libri di Jane Austen sono romantici, ma raccontano storie che oggi ci sembrerebbero patologiche. L’hai visto a due balli e te lo vuoi sposare?»

Carolina Bandinelli e Giorgia Tolfo sono sedute a fare una chiacchierata dopo cena come in salotto, e come in un salotto sorseggiano delle birrette. Il salotto, osserva Bandinelli guardando il pubblico, si è evidentemente molto ingrandito: vista la crisi abitativa, tanto meglio. Sorseggiano le birrette e parlano d’amore. È la prima di due serate: stasera l’ospite è lo scrittore Roberto Camurri, ed è la serata dell’incanto. Domani sera, con Irina Turcanu, si parlerà di disincanto.

Subito Bandinelli cita il libro di Raymond Carver: Di cosa parliamo quando parliamo d’amore? La mossa, lei ne è consapevole, è inflazionata, ma non le mancano idee per la risposta. L’amore secondo Bandinelli è tre cose: un’esperienza soggettiva che non si può capire dall’esterno, un’esperienza universale di cui parlano quasi tutti i libri del mondo, e una questione politica e sociale. Il terzo è il più interessante: l’amore non è dato una volta per tutte, va costruito e interpretato e viene costruito e interpretato in modi diversi a seconda dell’età anagrafica e dell’epoca che si vive. Da qui, il commento di sopra su quanto la storia di Elizabeth e Mr. Darcy sia invecchiata male.

Malgrado questo, cosa sia l’amore lo impariamo dai libri, dai film, dalle canzoni. L’incanto del primo amore si impara quasi sempre da una storia immaginata. Il pubblico, sollecitato, tira fuori Jane Eyre, Cime tempestose, Jack Frusciante è uscito dal gruppo. Bandinelli Madame Bovary. Camurri racconta i suoi primi contatti con la performance di genere che ci si aspetta dagli uomini: i film con Harrison Ford, la principessa Leia che dice «Ti amo» e Han Solo che le risponde «lo so».

L’amore che si impara da Emma Bovary (dice Bandinelli) è «quell’esperienza struggente in cui si soffre perché l’altro non ci ama come vorremmo essere amati». Ha a che fare con un incontro, che arriva e cambia tutto, e che dà inizio a una danza sopra un abisso catastrofico. È anche un evento che capita: Petrarca colpito dalla freccia di Cupido quella volta in chiesa, e da lì sei finito. Non hai parte attiva in questo processo.

Si possono vedere le cose in un altro modo, e Tolfo a questo proposito cita bell hooks. Esiste una visione secondo la quale quella perdita d’innocenza che segue la fine del primo amore non deve essere un cedimento al disincanto, ma un aprirsi a un amore espansivo, che non fa gerarchie fra la passione romantica, la famiglia, gli amici, gli animali non umani. Un amore che non succede ma deve essere costruito, come cura e come pratica; e che necessariamente ha una dimensione radicale e politica, perché implica la cura anche per il prossimo che ha bisogno di essere accolto o aiutato.

È l’amore che trova espressione nella comunità, e non nell’individualismo. Che non conosce il possesso – che è capitalistico anche quello – e non pronuncia quel sei mio o sei mia che (individua Bandinelli) «va da Vasco Rossi a Laura Pausini a Roland Barthes».

Quella forma d’amore che mira alla costruzione di famiglie o, per usare un termine meno connotato, di reti; di kinship per dirlo con le parole di bell hooks. Che può anche aprirsi a nuove forme romantiche che vanno oltre la coppia anche in direzione poliamorosa o di non monogamia consensuale, moltiplicando le intimità oltre che i rapporti di cura: scelte che possono essere declinate, a seconda dei contesti e delle pratiche, nel modo più individualista e neoliberale o in prospettiva radicale di comunità.