05 | 09 | 2025

Dalla resistenza alla costituzione

Il periodo del fascismo sta per finire ed è compito della resistenza colmare la distruzione lasciata.

Quest’anno si celebrano gli 80 anni dalla liberazione dell’Italia dal nazifascismo, motivo per cui Festivaletteratura ha organizzato una serie di eventi, il primo tra i quali si è tenuto la mattina del 5 settembre. Eterogeneità è spesso un aggettivo associato alla resistenza e, come la scrittrice Benedetta Tobagi e lo storico Marino Viganò hanno spiegato, ciò costituisce la sua più grande forza. L’esperienza della resistenza ha contagiato tutte le classi sociali, tutti generi e ha coinvolto persone con competenze diverse che sono riuscite a mettere da parte le loro differenze per radunarsi attorno a ciò che avevano in comune: liberarsi dal regime.

Il Diario di Jacini ci accompagna proprio negli anni di ricostruzione del Paese, che doveva trovare delle solide fondamenta. Stefano Jacini vive la politica italiana a partire dagli inizi del XX secolo aderendo poi al Partito Popolare Europeo, antenato della Democrazia Cristiana. Allontanatosi dal parlamento dopo le leggi fascistissime del '26, è tra i primi a sostenere la ricostruzione dei diversi partiti che si organizzavano in segreto in vista della fine del fascismo.

Caduto il regime, nacque l'esigenza di restaurare l’Italia. La prima delle necessità era l’abolizione della monarchia senza uno scontro con la chiesa: il referendum venne chiamato infatti per evitare gli scontri tra parlamento e l’istituzione papale qualora si sarebbe mostrata contraria. L’assemblea nazionale costituente, formata da cittadini di diversa estrazione sociale, doveva fare ciò che aveva fatto la resistenza. La nostra costituzione è un «capolavoro del compromesso», nata da un lato per la paura di una repubblica radicale e, dall'altro lato, dalla ferma volontà di mutare completamente la struttura sociale dell’epoca. La resistenza era la capacità di trovare mediazioni in un tempo in cui sembrava che tutto potesse succedere.

L’eterogeneità si riflette anche nel ruolo delle donne, spiegato efficacemente ne La resistenza delle donne della Tobagi. «Il voto ce lo devono dare», disse a seguito della prima guerra mondiale la giornalista e in seguito partigiana Ada Gobetti. Ma per vedere realizzati i suoi sogni e quelli di milioni di italiane si dovrà aspettare fino al referendum del ’46. Altre donne invece si facevano portavoce di ideali conservatori, il PCI era stesso scettico nel dare alle donne la possibilità di votare, impaurito dal possibile aumento nel supporto per i partiti di destra. Per lo stesso motivo invece il Papa voleva che le donne votassero, così che difendessero gli ideali della famiglia.

Con il referendum del ’46, l’Italia esce definitivamente dal medioevo, riconoscendo alle donne il diritto al voto e rompendo finalmente ogni rapporto con la monarchia e con il fascismo. Con tutta la popolazione alle urne, lo stato non poteva permettere che fosse l’analfabetismo a prendere le decisioni. La soluzione fu migliorare i programmi scolastici, cercando di veicolare notizie e informazione impiegando ogni mezzo possibile raggiungendo tutte le fasce di età. La società, ancorata ai modelli arcaici, doveva cambiare così come era cambiato lo stato, migliorando assieme lui. La Tobagi ci parla di pedagogia politica, un sapere educativo per lo sviluppo di una nuova società di massa formata da uomini liberi e critici nei loro pensieri. Cuore pulsante delle mediazioni erano i sindacati e associazioni che avevano aiutato a crescere le persone e che oggi purtroppo non esistono più.

La lezione di Jancini fa aprire gli occhi non solo sul passato, ma anche sulla realtà di oggi che ripropone a piccoli passi ciò che è avvenuto nel corso della storia.