06 | 09 | 2025

Desacralizzare la letteratura è celebrarla

Discorsi sulle parodie di Stefano Tonietto con Patrizio Roversi

Durante il Festivaletteratura del 2018, quando Stefano Tonietto raccontava la Letteratura latina inesistente, aveva all’attivo un paio di libri: quello strano manuale di autori immaginari e il poema Olimpio da Vetrego. Quest’ultimo è un poema comi-cavalleresco lungo oltre 37.000 versi (praticamente due Iliadi e mezzo) scritti nell’arco di ventisette anni (durante i quali - giura - faceva anche altre cose). Quando Olimpio da Vetrego è uscito, nel 2010, Tonietto aveva cinquant’anni.

Negli ultimi sette anni i libri si sono moltiplicati. Patrizio Roversi quasi non sa da dove partire e sembra prima di ogni cosa entusiasta del professore che ha davanti, che sembra un po’ il professore che tutti vorrebbero: quello in grado di giocare. Roversi precisa anche che Tonietto giusto quattro giorni fa è andato in pensione, il che rischia di moltiplicare il numero dei libri che scriverà in futuro.

Per Tonietto – Roversi centra subito il punto – desacralizzare la cultura è celebrarla. Tutta l’ironia dei suoi testi presuppone un citazionismo di secondo, terzo, quarto grado, e sfida il lettore a capire il trucco (e lo costringe a imparare qualcosa, volente o nolente). Così è nato, sulla falsariga delle Vite dei Cesari di Svetonio, Altri dodici Cesari: il racconto sempre più surreale della vita di dodici imperatori immaginari. Ognuno col suo primato: il primo imperatore plebeo, il primo imperatore tossico, il primo imperatore inesistente, il primo imperatore non umano (il cavallo nominato consigliere da Caligola, assurto a quest’onore ulteriore), il primo imperatore ultimo… fino al primo imperatore degno, tredicesimo del libro, raccontato da una pagina bianca.

Oppure Il divino intreccio, riscrittura dell’Inferno di Dante in forma di lipogramma: senso uguale, stessa metrica, e neanche una lettera A, né nei versi né nel commento. Un esercizio di stile che rimanda all’Iliade mancante di una lettera di Nestore di Iaranda, un testo alessandrino «che è andato perduto, giustamente». Tonietto sta già lavorando anche a un Purgatorio similmente rifatto. «Un’opera» dice l’autore «completamente inutile, non richiesta da nessuno e che nessuno voleva leggere». Non a caso Tonietto è il fondatore e unico esponente del movimento del Futilitarismo. Nonché autore del suo Statuto, il cui art. 1 recita: «Bisogna unire il futile al dilettevole».

Il ruolo di professore, racconta Tonietto, non va mescolato con quello di scrittore: lo studente cui il professore consiglia un suo libro si sentirebbe sempre in obbligo di leggerlo e di apprezzarlo. Il contrario però è interessante e fruttifero: varie idee finite nei suoi libri - racconta - sono nate da trovate di studenti particolarmente intelligenti o particolarmente discoli. A volte, raccontare una storia assurda può essere un modo per svegliare l’attenzione di una classe poco responsiva. A volte, purtroppo, anche questo non basta.

L’unica opera di Tonietto che dice cose vere, alla fine, è Poesia demenziale da Ferdinando Ingarrica a oggi. Tonietto, rinunciato al suo primo sogno di diventare uno dei Beatles e anche al secondo di diventare uno degli Skiantos, si è dedicato a scrivere una guida alla poesia demenziale, concentrandosi sui versi maltusiani, che prendono il nome da Thomas Robert Malthus, demografo che teorizzò il controllo delle nascite, e in suo goliardico onore si concludono sempre in tronca, andando anche contro le regole grammaticali.

Quella di Tonietto è una grafomania che va a periodi. «Invidio gli scrittori costanti, che scrivono in orari da ufficio». Lui non riesce, ma, quando gli prende l’idea, le dedica le mezze giornate consecutive. «E divento insopportabile, non butto la spazzatura». Quello che invece vuole buttare sicuramente è la sua produzione giovanile, che trabocca dai cassetti, visto che ha pubblicato il suo primo libro a cinquant’anni. «Un ottimo tirocinio», naturalmente non scelto da lui ma «merito degli editori». Il suo consiglio è di non farsi paralizzare dall’esempio della letteratura esistente e grande, o si finisce per non scrivere più nulla.

Tonietto scrive ridendo: se un’idea non lo fa ridere, la scarta. E poi, scrive quello che vorrebbe leggere. Quando ha scritto l’Olimpio da Vetrego aveva un filone di riferimento, ma non un testo che fosse esattamente ciò che voleva: Luigi Pulci comincia a fare Pulci, creando personaggi picareschi, ma poi li uccide e torna a parlare di Orlando, «che è noiosissimo». Boiardo pure. Così Tonietto si è scritto il poema che voleva leggere, un Brancaleone in versi. «Ho pensato: così me lo rileggo da vecchio».