06 | 09 | 2024

È tardi ma non è troppo tardi

Telmo Pievani intervista David Quammen su sul nuovo libro Il cuore selvaggio della natura

La natura selvaggia ha un cuore che batte ancora ma, affinché continui a farlo in un futuro anche prossimo, dobbiamo garantirgli spazio, dinamicità e la possibilità di preservare la biodiversità. A proporre soluzioni e a raccontare esperimenti in corso, il saggista e divulgatore scientifico David Quammen in dialogo con il filosofo Telmo Pievani. «Siamo ormai conosciuti come il David and Telmo Show», ironizza Pievani, prima di avventurarsi in una lunga chiacchierata con lo scrittore di Spillover (Adelphi, 2014).

David Quammen, avventuriero audace e scanzonato, arriva a Festivaletteratura per presentare Il cuore selvaggio della natura (Adelphi, 2024), una raccolta dei più memorabili reportage scritti e pubblicati durante la collaborazione ventennale con il mensile National Geographic che spaziano dal Sud America all’Artico, dalla Kamčatka al Congo. Alcune regioni di questa esplorazione sono già note ai lettori abituali di Quammen, mentre altri sono del tutto nuovi. Attraversando fiumi, sentieri e fitte foreste, l’autore incontra nuovi ed entusiasmanti tentativi di coesistenza fra comunità locali e natura. Ci sono voluti decenni affinché l'opinione pubblica maturasse una certa consapevolezza circa l’importanza di queste forme di coabitazione.

«Quando Yellowstone fu dichiarato Parco Nazionale, per anni fu comunque permesso ai Ranger di praticare la caccia di animali predatori, come puma o uccelli rapaci, con la giustificazione che fosse necessario regolare il numero di questi esemplari al fine di preservare un certo equilibrio generale e, al tempo stesso, proteggere le specie considerate deboli. Nel frattempo, le comunità native che avevano sempre abitato il territorio venivano allontanate. C’è voluto del tempo prima che la comunità internazionale comprendesse l’importanza di far coesistere comunità locali e natura». dichiara Quammen.

La conoscenza delle peculiarità di ciascuna area sono la ragione principale per cui i popoli nativi dovrebbero essere coinvolti e messi alla guida di questi progetti, volti a favorire la convivenza e il benessere di tutte le popolazioni, sia essa quella umana o animale. Un esempio virtuoso riportato da Quammen è quello del Gorongosa National Park in Mozambico.

«Dopo che il paese ha raggiunto l’indipendenza dal Portogallo, è esplosa una violentissima guerra civile durata 17 lunghi anni che ha devastato il territorio e la popolazione civile. Le scelte del Presidente mozambicano Chissano alla fine del conflitto e l’intervento di un’importante fondazione americana, la Gregory Carr Foundation, ha permesso di ripristinare lo stato dei luoghi e trasformare l’area di Gorongosa in un perfetto esempio di ciò che è possibile fare per far convivere uomo e natura. Le stesse persone che un tempo sfruttavano il parco oggi lo difendono».

Esistono ancora, però, realtà drammatiche, laddove il turismo di massa o lo sfruttamento indiscriminato dell’ambiente portano la natura a ribellarsi all’uomo anche nei modi più disperati e drammatici. Un esempio può essere l’Uganda che in alcune aree ha visto diminuire drasticamente lo spazio destinato agli scimpanzé che, privati di cibo sufficiente, escono dalle verdi vallate e raggiungono i campi coltivati, arrivando a rapire e uccidere bambini per cibarsene.

«Ci sono poi anche posti che dovremmo proprio lasciare in pace», dichiara Quammen in conclusione, seguito da un lungo e fragoroso applauso. Luoghi troppo delicati per resistere anche ad un minimo passaggio dell’uomo. Il bilancio del divulgatore nel complesso è più positivo che negativo: «siamo ancora in tempo per salvare il cuore selvaggio della natura. Possiamo evitare il peggio ma dobbiamo essere in grado di controllare i consumi sfrenati, tra deforestazione e overtourism, totalmente incompatibili con la vita animale. Possiamo farcela, ma dobbiamo metterci al lavoro subito.