07 | 09 | 2025

Epicentro di un genocidio

Srebrenica, luglio 1995

Srebrenica, luglio 1995. Epicentro di un genocidio. Christian Elia, giornalista esperto di Balcani introduce due grandi autori. Ivica Dikic ed Elvira Mujcic. Per un racconto corale nel ricordo di quegli eventi, di quelle immagini. Di fronte ad un pozzo senza fondo. Da un lato il bisogno di affrontare quel ricordo, dall’altra il linguaggio da scegliere per descrivere le immagini.

Parole che si possono, si devono usare di fronte all’orrore. Per Elvira Mujcic non è stata una scelta. Non ha scelto di parlare di Srebrenica perché lei è di Srebrenica. Il trauma vissuto non le permette di arrivare al centro del ricordo. Così ha deciso di girarci solo attorno. Essere un testimone è faticoso e richiede una abilità che lei non ha. Nelle storie che racconta, il genocidio rimane sullo sfondo, lo si vede di sbieco, marginalmente. Questo però le permette di raccontare le storie delle persone coinvolte, che vita avevano, chi hanno lasciato. Un modo per ricostruire quelle vite e ricucire queste storie. Ivica Dikic invece affronta direttamente il ricordo. Forse perché il suo interesse per il genocidio nasce dieci anni dopo i fatti. E ha iniziato a sentire la responsabilità per quello che è accaduto. Uno stile documentaristico, romanzato solo per alcuni personaggi. Un viaggio nell’orrore di 8000 persone eliminate.

Cosa avevano nella mente e nel corpo gli assassini? Una ricerca per capire i motivi che hanno mosso queste persone. Cercando di sondare l’inspiegabile. Per indagare la banalità del male. Due approcci diversi e potenti. Dal 12 luglio 1995 sono passati trent’anni. E gli anniversari tendono ad essere problematici perché possono prendere pieghe diverse. Poche prese di posizione, racconti fotocopia sulla carta stampata, narrazione un po’ immobile, senza plasticità, senza attualizzazione. Perché non è ancora memoria condivisa. Rimane una narrazione senza profondità, senza portare Srebrenica nel presente. E sul presente quindi rimaniamo miopi, con l’incapacità di arrivare presto alla prospettiva giusta.

Forse dipende dal modo di raccontare, forse perché è un fatto che non ci riguarda, è lontano nel tempo e nello spazio. Che riguarda persone che non conosciamo e non ci interessano. La cronistoria quindi non basta. Anche se rimane difficile fuggire da queste gabbie di senso che non ci permettono di esplorare altri tipi di racconto. Il genocidio in atto a Gaza dimostra che non abbiamo imparato niente, così come a Srebrenica non avevano imparato niente dai fatti accaduti nella seconda guerra mondiale.

Come genere umano non siamo in grado di imparare niente dalla storia. E continua a mancare una ricerca approfondita per capire la tragedia. Serbi di Bosnia, Serbi di Serbia, coprendosi gli occhi credono tutti di lavarsi la coscienza. Non si esce da questo cerchio di negazione. E finché non ci sarà un vero cambiamento di atteggiamento, non sarà possibile progredire, elaborare e superare il dramma per i popoli che abitano quei luoghi. Proprio in occasione dell’anniversario si è persa l’ennesima occasione per la comprensione autentica dell’evento. Se non guardiamo il pozzo, non potremo mai risolvere il dramma. Come accade in Israele, come accade per i falsi amici di Israele. Perché il problema di tutti i genocidi a partire dall’olocausto è quello della deumanizzazione. L’idea di poter deumanizzare l’altro, il nemico di turno.

Cosa può fare uno scrittore? La letteratura può essere una risposta a tutto questo? La letteratura che ci parla di guerra, dall’Iliade e dall’Odissea in poi, racconta quello che rimane, quello che accade nell’essere umano, nella migrazione a cui è costretto, nella perdita della terra patria. Sempre come se la bontà non fosse vera mai, perché l’uomo non è così. Ma l’unica cosa che possiamo fare è proprio scrivere, raccontare anche di fatti lontani. Perché gli abissi che si aprono devono insegnarci qualcosa. Ci sono 120 milioni di persone in diaspora.

La letteratura può essere utile anche quando apre domande senza dare risposte. Aprire varchi per vedere cosa passa. Gli storici sono importanti per raccontare e dare dimensione ai fatti, ma è la letteratura con la sua profondità che può indagare l’anima e il corpo delle persone coinvolte. Non è questione di cronaca, ma è chiedersi come hanno fatto le persone a fare queste cose ad altre persone, amici, vicini di casa, nello stessa città. Persone che in una sola notte diventano un unico mostro inferocito. Domande che non hanno risposta, ma che ci permetto comunque di comprendere. Senza speranza però di pensare che non succederà mai più perché sta tutto nella natura dell’uomo. In ogni uomo esiste una quantità di male che esce e fa danni. Impegniamoci allora ad accusare anche noi stessi, ad ammettere a noi stessi il nostro stesso male.

Perché forse non è sempre inevitabile quello che accade.