«Tutto è Giappone» disse Victor Hugo, frase ancora attualissima considerando il fascino che oggi si prova per questa terra. La giornalista Benedetta Fallucchi ha presentato l'evoluzione della cultura nipponica attraverso una selezione dei cinque libri novecenteschi che a suo parere rispondono meglio al nostro bisogno di essere globalizzati. Il mio primo giorno in Giappone di Lafcadio Hearn (Adelphi, 2022) racconta il momento della scoperta del paese e della nascita dei rapporti commerciali con l’Occidente. Correva l’anno 1853: da lì in poi il viaggio in Giappone diventerà subito una moda per le classi elevate. I nipponici saranno descritti come persone sorridenti, gentili, timide, con una grande grazia nell’arte dei giardini e il Giappone diventerà il luogo in cui ritrovare sé stessi.
Il secondo libro scelto per illustrare (e confutare) gli stereotipi è Un lungo viaggio lontano di Ercole Patti (Bompiani, 1975). L’epoca è quella del Giappone imperialista, in cui le città sono vivaci per la presenza di merci, cibo, danze e le case sono leggere, perché costruite in legno. L’abitazione è vista come un rifugio temporaneo, per cui deve essere smontabile, oltre che antisismica. Altrettanto resistente è la gente del posto, tenace e con «sorrisi da tigre». Il narratore cerca le Geishe nella Casa del Tè, ma le aspettative di uomo occidentale non coincidono con la realtà.
Con L’eleganza è frigida di Goffredo Parise (Adelphi, 2008), l’ambientazione si avvicina sempre di più ai giorni nostri. Le case non sono più costruite in legno, sono gli anni ’80 e il Giappone è diventato una potenza economica. A Tokyo gli alberi sono legati con corde vegetali per ragioni estetiche, consonanza di materiali e tradizione. I semplici giardini di sassi e ghiaia si attengono al medesimo presupposto di continuità. Persino i bagni sono separati dall’abitazione per ragioni di stile: l’estetica è imprescindibile per ogni giapponese.
Attraverso il romanzo Stupore e tremori (Voland, 2017), Amélie Nothomb racconta tramite un alter ego le vicissitudini di una ragazza che vuole coronare il sogno di sentirsi completamente giapponese. È il 1991 quando Amélie inizia a lavorare per una prestigiosa azienda, che segnerà la sua discesa agli inferi. La colpa della protagonista è quella di farsi notare in una società in cui le donne devono essere «il chiodo che non sporge». La donna nipponica per antonomasia è enigmatica, misteriosa, sensuale ma anche repressa. La cultura del non mettersi in mostra non è richiesta solo al genere femminile: l’individuo deve essere soppresso per favorire la collettività e l’armonia.
Per concludere, i Quaderni giapponesi di Igort (Oblomov, 2017) sono usati da Tabucchi per parlare di un altro aspetto caratteristico della cultura nipponica: la completa dedizione alla produttività, riscontrabile anche in ambienti forse meno sospettabili perché più "creativi", come le case editrici di manga. La giornalista utilizza come espediente un aneddoto vissuto dallo stesso Igort: al suo ritorno in Giappone è stato immediatamente contattato dall’editor e dal suo team: entro il giorno seguente avrebbe dovuto consegnare una storia di 16 pagine, nonostante il lungo viaggio. Le esigenze del singolo non contano, quindi, sacrificate in nome dell'efficienza e della collettività.