Non stai giocando, stai lavorando. E non te ne rendi conto. La gamification, quella cosa che trasforma tutto in un gioco con punti, badge e classifiche, sembra un modo divertente di affrontare le cose. Ma non sempre è così. Dietro quella patina di colore, c’è qualcosa di più subdolo.
Adrian Hon (You've Been Played, Hackette, 2022), programmatore che conosce bene il mondo dei videogiochi, è uno dei primi a metterti in guardia: non tutto ciò che sembra un gioco ti rende felice. C’è una linea sottile tra il divertimento e il controllo. A volte giochi per raggiungere un obiettivo che ti piace, magari perché è difficile da fare e il gioco lo rende più sopportabile. Ma altre volte sei solo una pedina, spinta a fare qualcosa per il vantaggio di qualcun altro.
Un esempio? Amazon Mechanical Turk. Piattaforme come questa sono costruite su un modello di gamification che non ha nulla di divertente. Pagano pochi centesimi per compiti che le macchine non possono fare. Il lavoro è ripetitivo, alienante e la paga è misera. Eppure, tutto sembra strutturato come un gioco: punti, livelli, classifiche. In realtà, però, sei tu che perdi, mentre qualcun altro guadagna. Un meccanismo di certo non nuovo. Sebbene la gamification sia diventata popolare a partire dalla metà degli anni Duemila, le sue radici affondano molto più indietro. Ricordate i programmi fedeltà dei supermercati o i sistemi di incentivazione nelle vendite? Ecco, questi possono essere considerati i precursori.
Hon distingue tra una gamification benigna e una coercitiva. La prima ti aiuta a fare qualcosa di complicato o noioso rendendolo più accessibile e persino piacevole, come nel caso delle app per imparare nuove lingue o migliorare la propria forma fisica. La seconda, invece, si basa su meccanismi di controllo comportamentale, che sfruttano l’impulso umano a competere e collezionare risultati, senza che ci sia un vero valore intrinseco per chi "gioca". Questo è esattamente ciò che accade su piattaforme come la già citata Amazon Mechanical Turk, dove il lavoro è spezzettato in piccole attività, trasformato in micro-lavoro, e il lavoratore non è altro che una ruota dentata di una macchina più grande.
Il vero pericolo della gamification coercitiva, secondo Hon, è che trasforma le persone in lavoratori inconsapevoli. Ogni clic, ogni badge ottenuto, contribuisce a un sistema economico che premia chi detiene il potere e non chi gioca. Antonio Casilli, nel suo libro Schiavi del Click (Feltrinelli, 2020) descrive perfettamente come ogni nostra azione online, anche la più banale, contribuisca alla creazione di valore per qualcun altro.
Un fenomeno, quello della gamification, che unisce lavoro e gioco, confermando la tesi di chi il capitale lo conosceva molto bene, Karl Marx. Il filosofo ed economista tedesco ci aveva in un certo qual modo avvisati: la moderna società capitalista lavora per formare la coscienza degli individui in modo tale che essi credano di essere liberi, quando in realtà non lo sono. Torna dunque la domanda, fino a che punto siamo disposti a giocare?