Irene Solà è senza dubbio una delle voci più travolgenti del panorama letterario contemporaneo e si è imposta al grande pubblico creando un immaginario narrativo multiforme che fonde magistralmente folklore, natura e corpi in un intreccio di voci e prospettive capaci di ridisegnare i confini stessi del racconto. L’incontro moderato da Silvia Pelizzari è stata l’occasione per ripercorrere le tappe di una traiettoria letteraria già riconoscibile, che raggiunge nuovamente l’Italia in occasione della pubblicazione de L’argine, esordio dall’autrice catalana ma terzo ad essere tradotto in italiano. Un dettaglio non marginale: l’ordine temporale delle pubblicazioni, sfasato rispetto all’originale, mette in evidenza la natura dialogica delle sue opere, che sembrano comunicare tra loro come capitoli di un’unica e ampia ricerca letteraria.
Al centro delle narrazioni di Solà c’è sempre un territorio geografico circoscritto e scelto con cura - spesso i Pirenei - ma non come semplice sfondo delle vicende narrate. Le montagne, i villaggi, i boschi sono veri e propri depositi di memoria collettiva: luoghi in cui racconti popolari, miti pagani, riti e le storie tramandate diventano specchi del modo in cui le comunità guardano e interpretano il mondo. Per Solà non si tratta soltanto di riportare i saperi o le morali che le leggende custodiscono, ma di interrogarsi su cosa queste storie rivelino del paesaggio e delle persone che lo hanno abitato.
«A me interessano i contesti in cui si sviluppano le storie – afferma durante l’incontro – perché ogni territorio porta con sé le proprie narrazioni, ed è guardando davvero e a lungo i luoghi che si capisce da dove le storie provengano e come siano arrivate fino a noi»
Questa attenzione per l’intreccio fra spazio e memoria si accompagna ad un altro tratto distintivo della scrittura di Solà: la continua sperimentazione con la prospettiva. Nei suoi romanzi la voce narrante non è mai scontata, anzi scardina costantemente le convenzioni. In Io canto e la montagna balla, per esempio, il primo capitolo è affidato ad un gruppo di nuvole, che con un fulmine decretano la morte di un uomo - quello che il lettore poteva considerare in principio il protagonista del romanzo. Da quel momento in poi lo sguardo vaga tra funghi, caprioli, cani e donne che ritornano: una polifonia che restituisce la molteplicità del mondo.
«Intrecciare questi punti di vista per me è come giocare – spiega l’autrice catalana – a un gioco serio, come quello che fanno i bambini. Mi interessa esplorare le soggettività, perché tutti esploriamo il mondo in modo diverso, e questa pluralità si arricchisce ulteriormente quando includiamo prospettive non umane»
Ne L’argine questa esplorazione si concentra nella figura di Ada, che torna al paese d’origine e riflette sul senso stesso della narrazioni: da dove nascono le storie? Cosa separa realtà e finzione?
Un grande spazio nella narrativa di Solà lo occupa il corpo. Nelle sue pagine i corpi non sono mai astratti: nascono, muoiono, soffrono, godono, si trasformano e si consumano. Persino i fantasmi, tradizionalmente privi di consistenza, nei suoi libri possiedono un peso materiale, emanano sensazioni e memoria.
«Mi interessa la materialità del corpo e di ciò che i corpi fanno ed emanano. È sorprendente poi come del semplice inchiostro nero su carta bianca riesca a risvegliare emozioni così fisiche: per me la letteratura si gioca proprio in questa tensione fra parola e sensazione corporea»
Non a caso in Ti ho dato gli occhi e hai guardato le tenebre la morte di Bernadeta, una donna anziana, diventa il punto di partenza per una vera e propria festa di fantasmi che ricostruiscono la storia familiare attraverso il tempo.
Il processo creativo e il corpus letterario di Solà riflettono indubbiamente anche la sua formazione nelle Belle Arti. La scrittura - dichiara Solà - è per lei sinonimo di indagine, un lavoro di ricerca che precede la pagina scritta. Ogni libro si fonda sulla stessa premessa: voler imparare o scoprire qualcosa, dedicarsi con grande attenzione e cura a un tema per lungo tempo fino a conoscerlo a fondo. Da lì parte un percorso fatto di studio, consultazione di archivi, biblioteche e poi sopralluoghi e conversazioni con le persone. L’autrice descrive questa lunga fase di lavorazione come il riempimento di una piscina d’acqua e materiali che incontra durante la ricerca: solo quando ce ne sono abbastanza e c’è abbastanza acqua si può iniziare a nuotare, a costruire davvero. Una concezione che privilegia il processo tanto quanto il risultato e che spiega la densità stratificata delle sue opere.
La centralità delle figure femminili è un ulteriore asse portante. Nei suoi romanzi le donne non sono eroine canoniche né protagoniste della grande Storia, ma presenze marginali, streghe, voci silenziate, figure ai margini delle narrazioni ufficiali.
«Mi interessa riflettere su chi ha raccontato la Storia con la S maiuscola e su quali vite sono state considerate degne di essere narrate. Le mie protagoniste sono quelle che si trovano ai margini di qualsiasi considerazione»
Infine, l’esperienza della traduzione e della circolazione internazionale delle sue opere ha offerto a Solà uno sguardo ulteriore sulla potenza della letteratura. Tradotta in circa trenta lingue, l’autrice racconta come i suoi libri abbiano assunto nuove sfumature a seconda dei contesti e delle scelte linguistiche dei traduttori. Ogni traduzione è di fatto un’altra esplorazione di prospettive, un’occasione per misurare quanto le storie sappiano radicarsi in luoghi diversi da quelli che le hanno generate, continuando a risuonare in profondità.
Con L’argine il pubblico italiano può ora completare il cerchio della sua produzione, riscoprendo l’opera che segna l’inizio del percorso di Irene Solà. Un percorso che restituisce alla letteratura la sua funzione primaria: quella di interrogare il mondo, moltiplicando gli sguardi possibili e facendo della scrittura non solo un atto creativo, ma un vero e proprio rito di trasformazione.