05 | 09 | 2025

Francesca Alinovi tra rivoluzione e sconfinamento

Figura chiave della critica d’arte italiana, Francesca Alinovi segnò la scena culturale del Novecento con il suo sguardo audace e rivoluzionario. Giulia Cavaliere ne racconta vita e pensiero, restituendo il ritratto di un’intellettuale unica e visionaria

Francesca Alinovi (1948-1983) si affermò come una delle voci più innovative della critica d’arte italiana, giocando un ruolo cruciale e aprendo nuovi orizzonti nell’arte performativa, nel graffitismo e nell’arte pubblica.

Purtroppo, il suo nome è spesso ricordato anche per il tragico fatto di cronaca che la vide protagonista: l’assassinio a soli trentacinque anni, nel suo appartamento di Bologna in Via del Riccio 7. Quel luogo, tanto centrale nella sua vita quanto nella sua morte, è diventato l’emblema di quello ricordato poi come “Il delitto del DAMS”, un caso che, a più di quarant’anni di distanza, lascia ancora aperti molti interrogativi.

Giulia Cavaliere, giornalista e critica musicale, nel volume Quel che piace a me. Francesca Alinovi, non cerca di sciogliere quei misteri: sceglie di restituire l’immagine di Alinovi non per ciò che ha subito, ma per ciò che ha creato e innovato. La sua ricostruzione parte proprio da quella casa, simbolo di vita e di morte, in una dimensione circolare che richiama la Stanza tutta per sé di Virginia Woolf.

Il libro fa parte della collana OILÀ, curata da Chiara Alessi: il titolo richiama un canto di lavoro delle mondine nelle risaie e raccoglie storie di donne “lavoratrici”, protagoniste di percorsi rivoluzionari in campi storicamente dominati dagli uomini.

In dialogo con Francesco Spampinato, storico dell’arte contemporanea, e Nicolò Porcelluzzi, Cavaliere ripercorre la Bologna degli anni Settanta, il contesto culturale in cui Alinovi si è mossa e il suo legame con New York, città che aveva abitato e che influenzò profondamente il suo immaginario, diventando decisiva nella rimodulazione del suo gusto artistico. È attraverso questa connessione che emerge l’influenza della scena “No Wave”, iconoclasta e ribelle, destinata a segnare in modo indelebile l’arte underground contemporanea.

Il momento più rivoluzionario dell’attività di Alinovi si concretizza nella curatela della Settimana della Performance (1977-1983), piazza creativa che diventa ponte tra la scena bolognese e quella newyorkese.

«Le tradizioni hanno bisogno di rotture per esistere», afferma Cavaliere a proposito del lavoro di Alinovi. Alinovi, profonda conoscitrice della tradizione artistica grazie al suo metodo rigoroso e meticoloso, riuscì a elaborare nuovi strumenti per leggere il presente. Tra questi, la sua rivalutazione del fumetto come linguaggio artistico alto, gesto tanto radicale quanto innovativo.

La sua rottura si esprime innanzitutto nello stile, con una scrittura critica “lirica”, poetica, capace di spostare l’attenzione non solo sui contenuti, ma anche sulla forma. La critica diventa per lei pratica letteraria e narrativa, un atto di «sconfinamento» e di apertura verso ciò che sta oltre.

La rivoluzione è anche estetica. Marco Zanardi, parrucchiere e hair-stylist fondatore del marchio bolognese Orea Malià, racconta come Alinovi, cliente e amica, alla fine degli anni Settanta decise di ispirarsi al look punk-goth di Siouxsie Sioux, cantante dei Siouxsie and the Banshees. Questa trasformazione segna un vero punto di svolta nella sua immagine, incarnazione dei suoi viaggi e del suo immaginario. Non modificò soltanto il suo aspetto esteriore, ma anche la sua scrittura, che — per dirla con le parole di Cavaliere — «cambia il tiro»: il ritmo della prosa si evolve e le scelte lessicali si trasformano, fino a diventare, come osserva ancora Cavaliere, «un fiume che esonda».

L’incontro tra Cavaliere, Spampinato e Porcelluzzi restituisce così il ritratto autentico di una pensatrice e intellettuale straordinaria, rivoluzionaria e vitale, a cui non è stato purtroppo concesso il diritto di invecchiare.