L’inclemenza del tempo non ha fermato la marea di pubblico venuto entusiasta a sentire parlare di Nord America dalla voce più popolare sull'argomento: Francesco Costa. Il fondatore de Il Post e autore di California e Frontiera ha da subito iniziato un dialogo serrato con il giornalista bolognese Gabriele Romagnoli, chiacchierando di diversi aspetti della civiltà d’oltreoceano, senza un tema preciso da seguire, un piano coerente e ordinato, ma con pennellate qua e là, ora d’un colore, ora d’un altro, per arrivare a dipingere un quadro dal sapore impressionista. Un’evocazione, più che un’analisi.
Il leitmotiv è stato, come prevedibile, il tema del momento: le elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Si è riaffermata così l’esistenza di due Americhe parallele: le coste, che conosciamo tutti benissimo, e il Paese profondo, la fascia centrale delle campagne, una civiltà quasi del tutto diversa che qui ancora fatichiamo a comprendere appieno. E si è toccato il fallito attentato a Donald Trump: al contrario di quanto si pensasse nei primi momenti, l’evento non ha influenzato troppo la campagna elettorale. I sondaggi, infatti, non registrano a oggi nessuna sensibile variazione di preferenze. Il motivo, secondo Romagnoli, è presto detto: la nostra è la civiltà del veloce, del breve, dell’uso e consumo, del va e viene. La mente è così abituata a processare in fretta le informazioni che non si sofferma troppo a lungo su nessuna di esse, ed ecco che anche un fatto così eclatante e forte è, se non dimenticato, almeno accantonato nella mente degli americani, pronti per infiammarsi alla prossima novità.
Se guardiamo alla sua storia elettorale, Trump è stato sconfitto molte più volte di quante abbia vinto. La sua ascesa alla presidenza nel 2017 si deve, secondo Costa, alla mentalità americana dell’entertainment, che prende le elezioni politiche come una partita di basket: un momento eccitante, dove si provano emozioni forti e si giudica sulla base di esse e dei fenomeni mediatici correlati, in grado di provocare svalutazioni morali. Hilary Clinton fu infatti all'epoca coinvolta in uno scandalo per delle mail personali che aveva inviato durante la sua segreteria di Stato: la corrispondenza elettronica delle principali figure politiche del Paese avviene tramite un indirizzo istituzionale e deve essere raccolta e riversata nella banca dati degli Archivi Nazionali. Clinton la consegnò, ma dopo aver eliminato tutto ciò che riguardava questioni personali e familiari, ricevendo così un’accusa di occultamento di notizie torbide. Negli USA basta anche questo per essere giudicati come persone che vogliono aggirare le regole, infatti la sua campagna elettorale ne risultò irrimediabilmente rovinata.
Come se non bastasse, si aggiunse anche la storia di Carlos Danger, alias Anthony Weiner, marito della sua segretaria personale Huma Abedin e anch’egli attivo in politica. Costui fu scoperto a inviare foto indesiderate a numerose ragazze che commentavano i suoi post sui social. Tra loro vi era anche una minorenne, e per questo il suo computer fu sequestrato ed esaminato: dentro, vi era copia dei messaggi cancellati da Hilary Clinton, che la moglie di Weiner aveva letto sul computer del marito. La situazione era ormai compromessa.
Ogni racconto, anche il più serio, è accompagnato da una buona dose di ironia e da aneddoti che hanno fatto scappare più di una risata: la maggiore tolleranza e abitudine statunitense alla violenza è emersa vividamente quando Romagnoli ha raccontato che un giorno, mentre si stava pacificamente facendo una doccia nella sua casa a New York, sentì improvvisamente qualcuno bussare alla porta, poco dopo sfondata. Presentandosi in soggiorno ancora insaponato e con l’accappatoio indossato alla bell’e meglio, si trovò davanti a due poliziotti con le armi spianate lì per recapitargli una lettera proveniente dal Tribunale della Sacra Rota, confuso per un provvedimento giudiziario di più grave entità.
E non mancano spunti di riflessione più generali, nati commentando il fatto che gli Stati Uniti registrano un numero annuale di femminicidi pari a quello italiano, nonostante la popolazione sia molto maggiore. Per spiegare questa statistica si può considerare (anche) il diverso approccio alla vita dei due popoli: mentre noi europei (e italiani in particolare) concepiamo la vita come tendenzialmente lineare, scandita da tappe obbligate e progetti, in America (non è forse la terra delle infinite opportunità?) sono più propensi ad accettare i cambiamenti. È più frequente cambiare, reinventarsi, iniziare da zero, quindi anche divorziare e risposarsi senza che, come purtroppo accade spesso nel nostro Paese, una persona arrivi persino ad uccidere rifiutando di accettare un apparente crollo del proprio piano di vita.
L'intervista di Francesco Costa con la redazione di Festivaletteratura