11 | 09 | 2020

Guerriere moderne

Le battaglie che si possono combattere senza armi

Judith Butler è una guerriera.

Dello stereotipo di guerriera che avete in mente, tenete la parte di prode, forte, valorosa e combattente e scartate la parte di coltelli, spade, catane, lance e quant’altro associate a questa figura. Perchè Judith Butler è una guerriera della nonviolenza . E, anche se la maggior parte di noi ritiene che combattere una battaglia a suon di scioperi e boicottaggi sia irrealizzabile, utopico o idealista, Butler ci suggerisce di cambiare prospettiva. Finchè definiamo come irrealizzabile un concetto, automaticamente lo poniamo fuori dalla nostra realtà, automaticamente ci poniamo nella condizione di lasciar perdere. Ma guardando a esempi della storia come Mahatma Gandhi e Martin Luther King Jr. ci si accorge che la nonviolenza può essere una strada percorribile per raggiungere traguardi politici e ottenere diritti. Ma attenzione: nonviolenza non significa rimanere pacifici, o passivi, essa comporta sempre un’azione.

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È usando questo approccio che l’autrice si pone nei confronti delle questioni odierne. Parla di vulnerabilità , parla di tutte quelle persone che si trovano ad affrontare discriminazioni perché rivendicano la loro identità di afroamericani o latini o sudamericani o trans o queer o travestiti in un’America e in un mondo ancora troppo acerbo per riconoscere nella diversità, una ricchezza. C’è una dignità che deve essere riconosciuta ad ogni persona, è la dignità del lutto . Perchè, dice Butler, percepiamo che la nostra vita abbia un valore nel momento in cui stimiamo le persone che ci compiangeranno. E alcune vite, oggi, non sono ritenute sufficientemente dignitose da ricevere un lutto. Questo causa una disparità sul piano affettivo e relazionale prima che sociale ed economico.

Ci sono fantasmi che aleggiano negli occhi delle persone. Sono fantasmi , perchè invisibili, eppure estremamente influenti. Sono i fantasmi di cui parlava Frantz Fanon che si interpongono tra noi e la persona con cui stiamo interagendo e con atteggiamento pomposo e prepotente, si caricano di significati, stereotipi, paure infondate, e distorgono il ragionamento, e orientano il pensiero. Solo nel momento in cui ci poniamo con un atteggiamento non giudicante e ci sforziamo di conoscere l’altro riusciamo a scacciare i fantasmi che abbiamo negli occhi.

Nasciamo dipendenti , non individui. Bisognosi delle cure e dell’accudimento di un’altra persona, delle istituzioni sociali e dall’ambiente in cui viviamo. Spesso questi ultimi non sono equi, le risorse e le possibilità non sono universalmente accessibili. Pensiamo che sia attraverso la negazione di questa dipendenza che si diventi individui, ma se provassimo a vedere in questa dipendenza una connessione tra esseri umani? In fondo dobbiamo essere sociali per vivere, e la vulnerabilità non è sempre in opposizione con la forza . Riconoscere che possiamo essere fragili , è il punto di partenza. E nel contesto di questa collettività dipendente, l’autrice ci esorta a lavorare insieme sulla rabbia, per diventare consapevoli che la nonviolenza non è un’utopia ma può far parte della nostra realtà.

https://www.youtube.com/watch?v=TbIbt06M8uk