Niente sarebbe andato com'è andato se un ragazzo appena trentenne non avesse dettato le parole del Mein Kampf in una cella a Landsberg. Questa è la storia di un'anomalia, di un emarginato, di un “underdog”, come lo definisce Stefano Massini nel dialogo con Marco Damilano. Ma il racconto da questa prospettiva potrebbe non permettere di approcciare criticamente il Mein Kampf. La caricatura, ridicolizzare e sminuire la figura di Adolf Hitler attribuendogli il baffetto chapliniano, rischiano infatti di creare un blocco, impedendo di conoscere davvero l’opera, anche se la prima vera ragione di rifiuto resta l'orrore che naturalmente si prova nel ricordare quel periodo.
Perché allora essere favorevoli alla diffusione di questo scritto a lungo vietato e condannato? Occorre innanzitutto arginare l'aura mitologica di cui è circondato: è noto, infatti, che più una cosa è proibita, più è ambita. Inoltre, il testo rappresenta un unicum nella storia del mondo: per la prima e unica volta un regime prende forma da un libro. Per farlo Hitler ha saputo sfruttare la potenza del linguaggio, il dono dell'empatia. Con un'abilità quasi maieutica, Hitler è riuscito non solo a catturare l'attenzione del pubblico, ma anche a tirare fuori da ogni ascoltatore le emozioni, concentrandosi in particolare le frustrazioni. La rivoluzione apportata da Hitler nel linguaggio politico, dunque, non è dunque stata tanto la scoperta della banalità del male, intesa come la naturale efficacia della politica dell'odio, quanto l'idea che la politica non debba parlare alla testa degli elettori, ma alla loro pancia. È attraverso la sua tecnica comunicativa che è riuscito a riconquistare le masse, disinteressate alla politica perché non coinvolte, in un periodo in cui le piazze erano vuote e la politica era appannaggio quasi esclusivamente di alcune élite. La sua retorica mirava all'identificazione, a illudere l'elettore che con il voto avrebbe quasi votato per sé stesso, anche se in realtà l'unico risultato era lasciare sempre più libera la sua parte bestiale: Thánatos.
Massini ricorda uno scambio epistolare in cui Einstein chiede a Freud il motivo per cui l'essere umano continua a scegliere il conflitto come metodo per risolvere le divergenze. Quest'ultimo risponde che esistono due forze che regolano gli istinti degli esseri umani: Thánatos e Eros. L'uomo, infatti, sin dagli albori della propria storia ha conosciuto la rivalità e conserva ancora la memoria ancestrale di quando era isolato e sopravviveva solo se non c'erano altri esseri umani intorno a lui. Solo successivamente ha scoperto che avrebbe vinto meglio la sfida darwiniana dell'evoluzione abbandonandosi fiduciosamente alla scoperta dell'Eros: la collaborazione e condivisione con un gruppo, che aiutandosi sarebbe sopravvissuto meglio. Sta a noi scegliere quale forza (Thánatos o Eros) nutrire e alimentare. Ciò significa anche porre l'accento sulla scelta delle parole giuste perché, se potenzialmente siamo tutto, è la scelta a fare la differenza. Eppure, secondo Massini, stiamo già vivendo in una forma di totalitarismo, dove si stanno perdendo il coraggio e il permesso della diversità, quindi il diritto di scelta. Quando si parla del pericolo del ritorno dei totalitarismi si fa riferimento alla diffusione sempre maggiore di una mentalità in cui chi arriva secondo perde il diritto di parlare, dimenticato perché non vincitore e per questo ridotto all’irrilevanza, negando così il dialogo, una funzione necessaria alla democrazia.
Inoltre la politica contemporanea, spinta dalla necessità di dover parlare alla pancia delle persone e raggiungere una platea più ampia possibile, è costretta al caos: un azzeccagarbuglismo e ad una interscambiabilità dei discorsi in cui si elimina la possibilità di scelta, tutto sembra uguale e di conseguenza nessuno crede più a nulla.