05 | 09 | 2024

In definitiva, si aspettavano qualcosa di… differente, qualcosa di teatrale!

L’avanguardia di Peter Handke

«Questa non è una recita [...] Non abbiamo bisogno di essere teatralmente efficaci».

Cosa significa «decostruire il teatro in tutta la sua struttura»? «Smontare e distruggere la struttura del testo»?

Peter Handke, con il suo Insulti al pubblico, nel 1966 ha tentato di fare proprio questo, sconvolgendo la scena teatrale tedesca, ancora profondamente legata a Brecht e alle sue forme narrative. Un teatro senza trama, senza storia, (è oggi definito postdrammatico), un teatro sperimentale che ha al centro il testo e la sua interazione con la voce e con il corpo.

Luca Scarlini ha scelto questa pièce, nella traduzione di Francesco Fiorentino (Insulti al pubblico e altre pièces vocali, edizioni Quodlibet), per introdurre questa edizione degli Atti unici del Novecento e, accompagnare, o meglio scagliare con violenza, il pubblico in un mondo pressoché privo di riferimenti comprensibili. E mentre la decostruzione, la distruzione del teatro tradizionale si consuma sulla scena, il pubblico stesso diviene «termine di dialogo», per dirla come Scarlini, vero e proprio bersaglio, spettatore esterno ma al contempo interlocutore diretto degli attori.

Sfida complessa per Alessandro Ambrosi, Alice Fazzi e Francesco Halupca. La voce in quest'opera diviene strumento di totale sperimentazione (non a caso uno dei titoli dell’insieme di pièces di cui questo atto unico fa parte è Atti vocali) e viene utilizzata in ogni modo immaginabile: versi, sberleffi, pernacchie, litanie, canti ritmati, risate sguaiate, colpi di tosse; nessuna strada rimane inesplorata, la pura voce prende corpo e concretezza sulla scena.

«Noi e loro a poco a poco siamo un’unità» recitano gli attori, e gli spettatori disposti a dare attenzione a un testo così particolare ne vengono travolti, diventano parte integrante della rappresentazione. Il distacco, espresso dal “loro” con cui gli attori parlano al pubblico del pubblico nelle prime battute, viene meno con il procedere dell’opera, mentre gli “insulti” del titolo iniziano a fare capolino. «Tu!» è già un insulto: rivolgersi al pubblico sfondando la quarta parete (anch’essa presa di mira) è il punto di svolta per il crescendo finale, una vera climax di epiteti che si fanno sempre più violenti ed espliciti, aprendo il testo a prospettive di critica socio-politica. «Eravate come fatti tutti con lo stesso stampo»: parole che si riempiono di significato distruggendo i confini dello spettacolo in corso.

Al cuore di questo testo c’è però la contraddizione, il passaggio repentino da un estremo al suo opposto, perfettamente messo in scena dalla regia. Dai sussurri alle urla, dalla perfetta immobilità alla danza sfrenata: alla potenza della performance vocale si accompagnano movimenti scenici che diventano estremi, quasi macchiettistici e che, a volte, sottolineano ed enfatizzano le parole; altre vi si oppongono, creando contrasti che conferiscono ulteriore potenza alla scena. «Non possiamo essere ambigui, non siamo dei clown», gridano gli attori, per poi lanciarsi a terra e cominciare a rotolare e a fare capriole. Uno sperimentare che è esplorare le possibilità della voce e del corpo, la loro interazione, il modo in cui la prima ha potere sul secondo e il secondo determina le sfumature della prima.

Un teatro sperimentale, di non facile accesso; è altamente probabile che il pubblico si aspetti «qualcosa di… differente, qualcosa di teatrale!».

Ma a volte è bello lasciarsi conquistare dall’inaspettato.