05 | 09 | 2025

Into the Wilderness

Un dialogo sulla storia dei parchi nazionali americani, dal fascino della natura selvaggia alle problematicità della loro gestione

Camminare in un parco nazionale americano è un’esperienza difficilmente restituibile a chi non l’ha mai vissuta. Implica un’immersione totale in una natura incontaminata, priva di tracce antropiche per chilometri, non un singolo rumore d’uomo a ore di distanza. Gli americani sono profondamente legati ai parchi nazionali, la loro stessa presenza fa parte dell’identità americana, e vivere questi luoghi, anche solo per svago, è per loro assolutamente indispensabile. Il profondo rispetto e la sacralità che attribuiscono a questi paesaggi si fonda su un concetto di loro invenzione, la Wilderness: il mantenimento dello stato selvaggio delle zone ancora non toccate dalla civilizzazione, invenzione da cui poi sono nati i parchi nazionali.

Marco Sioli, professore e storico specializzato nell’area del Nord America, nel suo libro In difesa della natura selvaggia ci riporta agli albori della filosofia della Wilderness, che in Ralph Waldo Emerson ha avuto il primo teorizzatore. Nel 1836 con il saggio Nature, Emerson pone le basi per la filosofia del trascendentalismo: un pensiero fondato sulla connessione tra uomo e natura che consentirebbe all’anima umana di trascendere la percezione materiale e accedere a una dimensione spirituale. La sua visione metafisica prese poi maggiore concretezza negli scritti e nell’operato di Henry David Thoreau, che fu anche uno strenuo oppositore dello schiavismo, e di altri tre pilastri dell’ambientalismo americano, Frederick Law Olmsted, John Muir e Aldo Leopold.

Ognuno di loro ha declinato in maniera diversa il concetto di wilderness. I parchi urbani progettati da Olmsted - il Central Park a Manhattan e il Prospect Park di Brooklyn, per citare i più noti - che proprio per la dimensione cittadina potrebbero essere considerati lontani anni luce dai parchi nazionali, sono stati concepiti per essere luoghi privi di cancelli, verdissimi e dall’aspetto assolutamente naturale, che restituiscano la stessa sensazione di libertà che si respira in quelli nazionali. Sul fronte ecologico, Aldo Leopold, invece, è colui che ha espresso la convinzione della necessità di estendere il concetto di comunità dagli uomini alla natura, includendo anche le specie animali.

Infine, John Muir, che Sioli definisce cantore della dignità e del diritto della natura di esistere, dalla Scozia arrivò negli Stati Uniti e partì, dopo la guerra civile, per un viaggio attraverso il Paese, scoprendo la meraviglia dello Yosemite e decidendo di farlo diventare la sua casa. I suoi scritti, contenuti nel libro Mille miglia in cammino fino al Golfo del Messico, hanno diffuso le sue storie e aneddoti delle sue peregrinazioni, permettendogli di essere conosciuto e di raccogliere le iniziative che dal basso volevano mobilitarsi per la tutela dell’ambiente. Così nacque nel 1892 l’organizzazione no-profit Sierra Club, che gli dette la forza di rapportarsi alla politica e avvicinarsi al repubblicano Theodore Roosevelt, e che nel tempo si è strutturata in maniera diversa, dando vita nel 1971 all'odierna Greenpeace.

Da quando sono stati istituiti nel 1872, i parchi nazionali sono stati gestiti secondo i principi di conservazione del loro ambiente selvaggio, ma la verità è che dietro il concetto di Wilderness si nasconde un approccio colonialista, che vuole vedere questi luoghi come inviolati e inviolabili, invece che come la dimora di popolazioni indigene a cui i terreni sono stati requisiti con violenza. E spesso le stesse regole che gli americani bianchi hanno stabilito per preservare la flora e la fauna dei parchi sono state dannose per il loro ecosistema. Giorgio Vacchiano, ricercatore in gestione e pianificazione forestale all'Università degli Studi di Milano e presidente del Climate Media Center Italia, autore de La resilienza del bosco (Mondadori, 2024), pone l’accento sulle storture dettate dall'ignoranza sugli equilibri che regolano le foreste. Il fuoco, ad esempio, che comunemente è considerato fonte di pericolo, è stato estromesso dai parchi nazionali, ignorando il suo ruolo fondamentale nel ripulire il terreno dalla vegetazione e creare spazi liberi, propizi per la semina delle sequoie e la loro crescita. Il risultato: l'assenza del fuoco ha portato a una crescita incontrollata della vegetazione e nel 1988 un incendio spontaneo l'ha quasi completamente rasa al suolo. L'evento non sarebbe stato così disastroso se non avesse trovato tanto materiale ad alimentarlo.

Numerosi studi e ricerche hanno dimostrato che i parchi naturali gestiti da indigeni sono in maggior salute, spiega Vacchiano. Come si è rapportata quindi la politica americana al tema? La sensibilità ambientalista non ha colore politico precostituito, è stata dimostrata da presidenti democratici e repubblicani, da Kennedy che prese a cuore l’inquinamento delle falde acquifere a Nixon che fu fondatore nel 1970 dell’EPA, Environmental Protection Agency. Eppure, attualmente la tutela dei parchi nazionali sta scricchiolando. L’amministrazione Trump, però, ha sancito un taglio del 25% delle risorse per i parchi, riducendo in maniera importante il numero dei lavoratori e incontrando l'opposizione di numerose petizioni che chiedono il ripristino dell'iniziale numero dei ranger e respingono le privatizzazioni - incoraggiate da Trump, che al suono di «Drill, baby, drill» esorta allo sfruttamento del petrolio presente nel sottosuolo.

La natura dirompente e indomita dei parchi nazionali americani, che parla al popolo di libertà, purezza e autenticità, è il risultato di un delicato equilibrio da maneggiare con cura. Nonostante il dibattito sull'ambiente sia sempre più vivace e le nostre conoscenze in ambito ecologico siano notevolmente più avanzate di quanto non lo fossero nel XIX e XX secolo, ancora dobbiamo lavorare per far sì che nei parchi ad essere selvaggia sia solo la natura, e non l'umanità.