L’ultimo atto della trilogia di Luca Misculin su alcuni popoli antichi è dedicato agli Etruschi. Così a noi vicini, così familiari, eppure sfuggenti, imperscrutabili, non incasellabili. Hanno infatti una fama di popolo misterioso, enigmatico, e proprio per questo, limitatamente a questo ci sono noti. È quella che il giornalista de Il Post ha definito ironicamente “deriva Voyager”: una certa storia antica è interessante solo se possiamo trovarvi dentro un qualche mistero oscuro. La cosa, peraltro, è testimoniata facendo una semplice ricerca su YouTube: la maggior parte dei video che compariranno saranno dedicati proprio a questo lato “oscuro” degli Etruschi. Non si tratta certo di una novità: già nell’antichità non era ben chiaro chi fossero e da dove venissero.
Erodoto, nelle Storie, è il primo a parlarne. Scrive che erano originari dall’Anatolia ma poi, quando metà popolo fu costretta a emigrare, si spostarono in Italia agli ordini del re Tirreno. Non così Ellanico, che invece colloca la loro origine nella Tessaglia, nel nord della Grecia. La difficoltà di avere informazioni certe deriva in primo luogo dal fatto che, per la loro importanza, hanno lasciato assai pochi testimonianze - scritte e materiali - se paragonati ai greci e ai romani. Tuttavia, fortunatamente, molti di questi interrogativi oggi possono trovano risposta grazie alle più moderne tecniche di analisi genetica.
Gli Etruschi, che avevano il loro epicentro in Toscana ma estesero il loro dominio anche a Lazio, Campania, Emilia e parte della Lombardia, si collocano cronologicamente all’incirca fra i 1100 a.C. e il 90 a.C., quando la lex Iulia rense tutti i popoli italici cittadini romani, cancellando di fatto le distinzioni precedenti. Erano un popolo che spiccava tra i vicini, e avevano una società conservatrice ma allo stesso tempo molto aperta verso gli influssi esterni. Quasi tutte le informazioni che possediamo su di loro derivano dalle loro tombe, giunte in numero particolarmente alto e tendenzialmente ben conservate: dentro si trovano sculture, oggetti, dipinti e una grande quantità di iscrizioni. Siamo riusciti a decifrare la maggior parte di esse, quindi conosciamo in buona parte la loro lingua, la cui testimonianza più antica risale al 730 a.C.
La particolarità dell’etrusco è innanzitutto l’essere un idioma non indoeuropeo - praticamente l’unico nell’Italia antica - anche se sono moltissimi i prestiti dal latino, dal greco e da altre lingue italiche. L’alfabeto stesso è derivato da quello greco, e prestiti greci sono anche molte divinità e persino eroi divinizzati, come Eracle. La maggior parte del lessico che conosciamo pertiene l’ambito religioso, perché gli Etruschi avevano una vera e propria predilezione verso questo aspetto della vita. L’ipotesi è che, essendo i loro re anche capi religiosi, essa fosse molto legata al potere e alla sua trasmissione. Sta di fatto che una delle più grandi eredità che questo popolo lasciò ai romani furono le tecniche divinatorie, procedure rituali e l’aruspicina: l’arte di interpretare il volere degli dei attraverso le viscere di animali sacrificati. Una società, quindi, molto legata alla propria lingua, alla propria cultura e alla propria mentalità, ma che allo stesso tempo si rivelava aperta a influssi esterni e includeva facilmente gli stranieri che avessero voluto integrarvisi.
Chi sono, allora, e a dove vengono? Oggi queste domande non sono più un mistero: secondo recenti studi genetici si riscontra un’eguale suddivisione tra due tipi di DNA, corrispondenti alle due grandi migrazioni di popoli avvenute nell’era pregreca: la prima (5000 a.C. circa), quando un gruppo umano emigrò in Europa dall’Anatolia portando con sé la cultura dell’agricoltura stanziale, e la seconda (2000 a.C. circa) che vide l’avvento dei popoli indoeuropei. Il codice genetico degli Etruschi sembra quindi una fusione di questi due momenti, similmente alla situazione di altri popoli italici. Ma, mentre in questi ultimi si vide la netta prevalenza dell’elemento indoeuropeo, gli Etruschi furono più capaci di conservare la propria identità originaria, fondendola con la nuova anziché soccombere. La vera domanda, dunque, non è cosa accadde agli Etruschi, ma piuttosto quando, e come.