Vita appesa è un romanzo scritto nel 2013 da Atef Abu Saif, ora disponibile tradotto in italiano. Insieme all'autore, ad accompagnare il commento e le riflessioni è la giornalista Veronica Fernandes.
«ll protagonista è come tutte le persone che vivono a Gaza: è nato durante la guerra in una tenda, come mio padre, che è morto sempre in tenda per mano di israeliani nel 2024» È la tenda il destino dei palestinesi, oltre la guerra? «Noi palestinesi stiamo vivendo una sola guerra, il cui punto culminante è stata la Nakba del 1948, quando siamo stati cacciati. Gli israeliani si aspettavano che sprofondassimo nell’oblio, ma non lo abbiamo fatto». Al protagonista del romanzo capita di morire perché qualcuno ha deciso di porre fine alla sua vita, come se fosse un videogioco. Questa è la normalità a Gaza. «Noi non possiamo fare niente contro Israele, altrimenti verrebbe considerato antisemita. Anche io sono semita e sono vicino ai cristiani perché l’aramaico - la lingua che parlava Gesù - è molto simile alla mia lingua madre». Secondo lo scrittore, quella che loro considerano come una guerra unica, unisce quattro finalità: eliminare quante più persone possibili, prendersi quante più terre possibili, devastare i villaggi con le infrastrutture e infine affossare la memoria.
Durante le prime due settimane di quest’ultima fase della guerra sono stati distrutti 9 musei a Gaza, seguiti da 156 biblioteche pubbliche, inclusa la più grande di tutta la Palestina. Qui dimoravano giornali palestinesi che risalavano al 19° secolo, così come i libri del 18° secolo. La prima azione che gli Israeliani hanno compiuto, ancora prima della cattura degli ostaggi, è stata l'omicidio della memoria del popolo. Hanno distrutto i siti storici e religiosi più importanti, come un cimitero romano, scoperto nel 2022 e posto sotto la protezione dell’Italia. È stato distrutto il porto marittimo che risaliva ai Fenici, sottoposto alla protezione delle Nazioni Unite.
Gaza è una terra antichissima, equiparata nel romanzo a una signora di 6000 anni che non ha mai avuto la possibilità di essere giovane. L’immagine di Gaza che abbiamo negli occhi è quella della devastazione provocata dalla guerra, ma è stata una città vivacissima, piena di cinema, teatri, caffè, ragazze che sognavano di diventare modelle e attrici. Dopo la Nakba l’80% della Palestina è diventato israeliano. Che cosa è rimasto sulla mappa che può chiamarsi Palestina? Soltanto la Striscia di Gaza.
«Quando il mio libro è entrato nei finalisti del premio Booker, la gente si è stupita, come se noi potessimo solo essere martiri. Noi gazawi siamo eroi non perché lo vogliamo, non siamo angeli».
Nel romanzo sono nominati degli edifici che adesso sono stati distrutti. Che cosa ne resta oggi? Ciò che gli scrittori hanno scritto. Tra 100 anni le persone ricorderanno così Gaza.
Dopo la Nakba, Gaza era famosa per tre ragioni, che sono rappresentate da tre prodotti esportati: arance, racconti brevi (non esistendo tipografie, si scrivevano testi brevi per farli spedire e stampare altrove) e insegnanti. Ogni anno partivano migliaia di laureati e se andavano a insegnare in Qatar e altrove. Negli ultimi 20 anni è stata l’unica città araba in cui non esisteva l’analfabetismo, grandissimo risultato se si pensa che la ricca Dubai ha eliminato l’analfabetismo solo nel 2022. E adesso? Sono 3 anni che i bambini non vanno più a scuola e l’analfabetismo ha raggiunto il 13%. Perché sono state distrutte scuole e università? "Perché qui si nascondono i terroristi”, dicono gli Israeliani.
Il numero di giornalisti uccisi a Gaza è maggiore del numero di tutti i giornalisti uccisi nelle guerre del 20° secolo, più di 200. È la prima guerra dal 20° secolo in cui non c’è la presenza della stampa straniera. Questo perché non vogliono che i giornalisti facciano arrivare la verità fuori dalla guerra.
«I ricami dei vestiti femminili sono unici, quando ero ministro ho cercato di farli promuovere e patrimonio dell’umanità. Ma succede che li ritroviamo anche in Israele, sottratti alla nostra paternità. Lo stesso vale per i cibi tradizionali, le danze e le storie. Gli israeliani non vogliono riconoscere la nostra esistenza. Finora hanno ucciso 65mila palestinesi e feriti 250mila. A me questo pare genocidio. Spero quindi che il mondo non aspetti che moriamo tutti per fare qualcosa contro Israele».