05 | 09 | 2024

La guerra in Ucraina sulla bocca del nemico

Dai campi di battaglia le parole di un reporter e le immagini di un fotografo di pace

Hanno condiviso molto, in passato, Alessio Mamo e Lorenzo Tondo, fotografo freelance il primo e giornalista corrispondente per The Guardian il secondo. Entrambi siciliani, si sono incontrati nel 2017 e hanno deciso di lavorare insieme, occupandosi del fenomeno migratorio, degli sbarchi di Lampedusa, fino a febbraio del 2022, quando la Russia ha invaso l'Ucraina. A raccontare la storia a una sala gremita, è Mamo, in attesa dell'arrivo di Tondo, trattenuto da imprevisti e da un viaggio turbolento. La narrazione di questa immensa esperienza prosegue con le immagini: un collage di foto che ripercorre alcuni drammatici momenti del tempo trascorso nel Paese afflitto. Da Leopoli a Bucha, da Borodjanka a Kremenchuk e a Kiev, a parlare sono il dolore, la morte e la distruzione. Corpi straziati, uomini giustiziati, fosse comuni, palazzi sventrati mostrano la capacità dell'uomo di generare orrore. Mamo e Tondo hanno raccolto la loro esperienza in una pubblicazione fatta di parole e di immagini, lasciando una viva testimonianza delle conseguenze del conflitto.

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«Diario ucraino è un grosso reportage, frutto di due anni di esperienza e di lavoro. Ciò che abbiamo visto, quello che abbiamo vissuto è stato un grande shock. Ho avuto una piccola esperienza in Medio Oriente e già all'epoca mi definivano fotografo di guerra. Non mi piace tale accezione, poiché è inevitabile che le foto intercettino le storie della gente. Preferirei essere definito fotografo di pace».

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I due uomini hanno attraversato tutta l'Ucraina, tra brutalità e terrore, con l'unico obiettivo di testimoniare. Mamo non dimentica mai di dare dignità a chi fotografa. È indelebile il ricordo di un funerale al quale ha assistito, il primo di tanti: otto persone uccise e a dar loro l'ultimo saluto tanta gente piena di rabbia e di sofferenza. «Io ero lì a fotografare quell'angoscia e l'ira di quella gente, che mi guardava come fossi un extraterrestre e sembrava volesse accusarmi di immortalare la loro disperazione. Spesso mi ritrovo a lottare tra la mia etica di essere umano e il lavoro che svolgo, indubbiamente stupendo, ma che mi induce a documentare ciò che vedo».

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Lo scontro tra la sensibilità e la necessità di portare le notizie al mondo si unisce alla corsa contro il tempo, un elemento molto importante per un fotografo che deve cogliere l'attimo e ancora più rilevante se si lavora per un quotidiano, che richiede un'elevata velocità di esecuzione. Ciò rappresenta una grande sfida, alla quale si aggiunge il senso di vuoto che fa parte di questa guerra, portato da tutto quello che c'era e che non c'è più.

«Più tempo stai in un posto, più sparisci da quel posto».

La guerra in Ucraina attraverso la voce dei giornalisti è ciò che giunge nelle nostre case, anche se, negli ultimi mesi altri drammatici fatti hanno preso il sopravvento e gli aggiornamenti circa questo conflitto sono diventati più radi. Si parla del rischio di assuefazione alle immagini del dolore, ai morti, alla distruzione. Ci stiamo abituando alle guerre, che sembrano quasi non turbarci più. Prevaricazioni, odio, violenza, invasione, distruzione, lacrime, urla non ci toccano, se non nel momento in cui passano le notizie al telegiornale. Questo, però, non deve scoraggiare chi vuole continuare a raccontare quella storia, che non è mai la stessa, perché muta quotidianamente.

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«La visione delle fosse comuni, gli orrori a cui abbiamo assistito costituiscono un punto di non ritorno. Mi rendo conto che siamo privilegiati, perché siamo chiamati a raccontare da testimoni di guerra e non da vittime, anche se le tragedie che narriamo ci perseguiteranno per sempre. Ricordo di una bambina uccisa mentre tentava di scappare con la sua famiglia. Era avvolta in un lenzuolo bianco, che aderiva perfettamente al suo corpo, tanto da ricordarmi il Cristo velato. Sotto quel lenzuolo ci ho visto i miei figli. È dura riuscire a convivere con certi orrori e con i traumi. L'unico modo che ho per stare meglio, è pensare alle vittime. Io sono libero di tornare a casa, loro sono costretti a rimanere lì, nella distruzione».

Tondo esordisce con parole amare, riferendosi ai gravi turbamenti provocati dalla guerra che si tramandano di generazione in generazione. Anche chi non ne è colpito in prima persona risente di quanto accaduto. «Ho avuto modo di incontrare i nipoti di alcune vittime del genocidio di Srebrenica e non ne ho visto uno che non avesse problemi psicologici o con la droga, oppure di altra natura. Le conseguenze di un conflitto si estendono per intere generazioni».

Dar voce a chi vive, in prima persona, le pene della guerra è l'obiettivo principale del loro lavoro. Se da un lato, quindi, vi è l'angoscia provocata dall'ascolto di narrazioni truci, dall'altra c'è la gratificazione di poter portare alla luce i crimini commessi nei confronti degli innocenti. A tal proposito, il giornalista introduce il delicato argomento della falsa propaganda e delle fake news.

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«Mentre noi guardavamo i corpi straziati, il Cremlino diffondeva false notizie, parlando di manichini, finti morti, burattini. Le loro fake news hanno rappresentato una sfida per noi. La disinformazione che la Russia ha diffuso è stato il motivo per cui abbiamo deciso di fare inchiesta e di non offrire un semplice racconto. In casi come questi, la macchina fotografica diventa uno strumento unico e insostituibile, perché si trasforma in un mezzo per fare inchiesta e portare sul tavolo dell'opinione pubblica la testimonianza incontrovertibile data dall'immagine».

Diario ucraino è un'opera realizzata in simbiosi, affinché la testimonianza scritta e quella visiva siano l'una il completamento dell'altra, senza sovrapponimenti e contrasti. Il volume, impreziosito dall'introduzione di Roberto Saviano, ha l'obiettivo di risvegliare le coscienze, di combattere l'indifferenza, di ricreare l'empatia, di orientare l'attenzione sia su questa guerra, che è alle porte di casa nostra, che su tutti i conflitti.