Massimo Recalcati inizia la sua lezione a Festivaletteratura dedicando l’incontro a don Ulisse Bresciani. Il discorso parte proprio da una delle loro conversazioni, da una parola spesso presente nei loro dialoghi: Effatà. Una parola del sacramento del battesimo che significa «apriti»: apriti al miracolo della parola. Il sacerdote tocca la bocca e le orecchie del bambino e dice «apriti». Allo stesso modo Gesù guarisce un sordomuto, una vita che si è chiusa, chiusa la bocca, chiuse le orecchie. Gesù usa la potenza del battesimo. Usa una delle sue parole chiave. Una parola in contraddizione forte con la religione. Una parola antireligiosa, perché invita all’aprirsi, mentre la religione lega, chiude.
Nei confronti di Gesù gli uomini religiosi nei Vangeli hanno parole negative, sprezzanti: farisei, scribi, sacerdoti, odiano Gesù perché odiano la vita. «Io sono la via, la verità, la vita» dice invece Gesù. «Sono la resurrezione». Gesù non è venuto per condannare, ma per salvare lo splendore, la bellezza della vita. Che la religione vorrebbe castigare, vorrebbe chiudere. Nel dialogo con Nicodemo, Gesù ribadisce che occorre rendere la vita capace di vita, aprirsi alla vita. Occorre nascere una seconda volta dall’alto come «zoé» non come «psyché». Rendere la vita capace di vita.
In Matteo troviamo molto chiara la frase: «Io non sono venuto ad abolire la Legge, ma a portare a compimento la Legge». Ma la legge a cui si fa riferimento è la legge del desiderio, paradossale dal punto di vista della Torah, della legge di Mosè, dove il principio cardine è invece il non desiderare. Nell’Eden si dice che Adam può godere di tutto, ma non del tutto, perché questo appartiene solo a Dio. L’umano non può essere Dio e il suo peccato mortale è proprio quello di volere farsi Dio: il serpente usa questa grande seduzione. Ma non è una mortificazione della vita non poter godere del tutto. Non si possono conoscere i pensieri di Dio, non possiamo sapere tutto. Anzi, proprio perché non possiamo sapere tutto, possiamo conoscere. La Legge di Mosè non punisce il desiderio, ci dà un avvertimento sulla nostra vocazione incestuosa. Quindi Gesù porta a compimento il reale pensiero di Mosè e aggiunge che il vero nome della Legge è il desiderio. Non c’è contrapposizione morale ma riconoscimento del desiderio come legge. Gesù dice che la vita è vita con la legge del desiderio. Perché allora noi viviamo lontani da questa legge e non cogliamo ancora la potenza della parola di Gesù? I temi del giudizio universale impauriscono, ma il criterio base del giudizio finale è uno solo. A destra del Padre avremo i salvati, a sinistra i maledetti. Ma chi sono i maledetti? Un solo criterio troviamo nei Vangeli: la vita che non si salverà è quella che non si è rivelata capace di amare. Che non si è spesa nell’amore. Che non ha rischiato preferendo conservare se stessa. La vita che si spende nell’amore è una vita che sa rischiare la vita. Le due malattie che invece affliggono la vita sono l’impotenza e l’utopia. «Per entrare nel Regno dovete diventare bambini»: non ritornare ma andare avanti, diventare vite aperte. E come i bambini vivere come se tutto fosse la prima volta, con l’entusiasmo della prima volta. «Io sono colui che rende ogni cosa nuova».
Gesù si occupa di vite rotte, bloccate. Gesù guarisce i paralitici, simbolo della vita bloccata, e rimette in moto questa vita. In un altro episodio dei Vangeli, Gesù arriva camminando sull’acqua in mezzo alla tempesta verso i discepoli che sono su una barca. Sembra uno spettro e ne sono tutti impauriti. Ma Pietro lo riconosce. Gesù gli dice «vieni» (che diventerà «alzati» per Lazzaro). Lo invita a uscire dalla barca e a camminare anche lui sulle acque. Ma la sua fede non è ancora sufficiente. Quella barca è l’Egitto, è il confine, è un muro che separa. Occorre uscire, andare incontro a Gesù, aprirsi alla fede, al prossimo, all’amore, alla vita. Israele nel deserto, dopo l’uscita dall’Egitto, non ringrazia Mosè, ma lo accusa. Chiede di tornare indietro, di ritornare a chiudersi nell’immobilismo, nella non vita. Perché l’uomo ama la schiavitù più che la libertà, l’uomo è assetato di obbedienza e cerca il padrone con il bastone. Così nella parabola dei talenti. La moltiplicazione è l’effetto del desiderio: le nostre forze si moltiplicano, la nostra vita diventa sovrabbondante. Occorre avere fede nel proprio desiderio, noi che siamo poca roba, pochi pani e pochi pesci, pochi talenti, polvere che torneremo polvere. Ma miracolosamente possiamo moltiplicare la potenza della nostra vita. La vita sarà ancora più ricca di vita e più hai e più avrai. Se non nasconderai il talento. Perché chi ha paura di perdere il poco che ha, perde tutto. La sepoltura del talento non è tollerata. Dobbiamo rendere la nostra vita capace di generare. Una vita sepolta è una vita perduta. Vogliamo davvero guarire? Siamo disposti a tornare alla vita? Vogliamo rimetterci in movimento? Sono le domande che Gesù fa al paralitico fermo da anni vicino alla piscina. E la domanda che lo psicanalista fa al paziente dalla vita rotta, bloccata.
La malattia dell’utopia è invece quella di pensare che ciò che ha valore è solo ciò che ci manca. Il desiderio sarebbe una corsa continua verso quello che non ho, andando verso una inevitabile delusione. E questo si intreccia con la superstizione religiosa sull’aldilà. Se ho rinunciato a certe cose in questa vita sarò (utopia) rimborsato in un altro mondo. Il regno quindi come un luogo aldilà del mondo che compensa i sacrifici di questo mondo. Non vivere nell’ora dell’adesso per vivere in un mondo dietro al mondo. Per Gesù questo è intollerabile. Il regno è tra noi, è qui, è adesso. È nell’ora che è adesso. Gesù, quando esce dal tempio dopo aver scacciato i mercanti, vede una pianta di fichi e ha voglia di mangiarne il frutto. Ma non ci sono frutti sull’albero. E l’albero viene maledetto per questo, perché Gesù vuole mangiare il frutto adesso, non fra cent’anni. L’esperienza della gioia deve essere vissuta adesso. Noi siamo come il fico? Cosa abbiamo fatto nella vita? Un albero si giudica solo dai frutti. Questo l’unico criterio di giudizio. Superiamo la dicotomia tra uomo virtuoso e uomo vizioso. Siamo tutti peccatori, nessuno si salverebbe se fossimo valutati in base a quanto abbiamo seguito la legge. Falliremmo sempre. Soprattutto chi giudica gli altri, perché tutti cadono nel peccato. Vizio e virtù, peccato e legge. Peccato è la sterilità, è non avere frutti, non centrare l’obbiettivo. Pecca chi non ha fede nella legge del desiderio. Peccato è tradire la legge del desiderio. Troveremo un grande cartello alla fine dei tempi. Hai agito tu nella tua vita in conformità al desiderio che ti abita? Gesù viene per salvare il mondo. La gioia è l’incontro con questo raggio di luce, coincide con il raggio di luce, ed è adesso.