Ci voleva un lockdown per fare pace con Mantova. Scappato a vent’anni dalla città natale, Antonio Moresco non era più tornato nella città del Mincio se non per qualche giorno. Poi la clausura di due mesi (come la definisce Bianca Pitzorno ) e l’evasione notturna per i vicoli, in una città conosciuta e sconosciuta al tempo stesso tutta da perdonare; sono queste le basi da cui è partito il nuovo libro di Moresco, Il canto degli alberi . A fare compagnia allo scrittore in queste passeggiate solitarie gli alberi murati, quegli alberi «disperati ma invincibili, le cui radici sono talmente forti che spaccano il cemento». Gli alberi sono specchi , riflessi della Natura aliena e insondabile che osserva il progredire di noi uomini, «esseri brutti e deformi» ; altre volte gli alberi siamo noi, sia per la condivisa condizione di immobilità che il Covid ci ha imposto, sia perché rispondono a domande con altre domande. Come noi, gli alberi non hanno risposte.
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L’altro fil rouge del libro è la musica , presente nel titolo, nella trama e nella struttura del romanzo. A fare da sottofondo alle fughe notturne di Moresco c’è il secondo e ultimo personaggio umano, una figura avvolta nel mistero che suona sempre la stessa aria di pianoforte e la cui musica arriva allo scrittore, commuovendo e ispirando il suo stile narrativo, che nell’ultima parte del romanzo procede per cori, come quelli di una tragedia greca. «Un coautore senza saperlo», spiega la Pitzorno, che fino a ieri non aveva identità. Il sentimento di gratitudine nei confronti di questa musa musicale era tanto forte da spingere l’autore a scrivere una letta aperta sulla Gazzetta di Mantova, in cui la esortava a reclamare pubblicamente il proprio contributo al libro. A sorpresa la persona è stata individuata: si tratta di una giovane, il cui nome rimane ancora sconosciuto al romanziere; nulla però esclude che un giorno musa e artista si incontrino, per dirsi finalmente quanti e quali significati attribuivano rispettivamente a quel brano.
Nella conclusione alberi e musica si fondono, come in una fiaba, creando una crasi fisica : le piante infatti amano talmente tanto la musica, questo elemento bellissimo creato da esseri distruttivi, da cambiare sé stessi e attuare una metamorfosi che li rende capaci di assorbire e riprodurre i suoni. Ed è proprio una metamorfosi che l’autore augura alla nostra specie, perché di fronte al cambiamento climatico «una rivoluzione è troppo poco».
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Cambiamenti strutturali del genere sono però processi lenti, difficilmente percettibili da chi li sta vivendo. La speranza (e anche la nostra ultima possibilità di sopravvivenza) è che la nostra metamorfosi sia già iniziata. Nascosta, come le radici di un albero.