07 | 09 | 2025

La paura di avere paura

La ragione inciampa senza la paura

L’ignoto, il timore di una perdita, l’angoscia per il futuro, un ostacolo e il successivo inciampo, sono tutte nobili paure, ma sono tutte paure ambientali, sociali. È interessante notare, invece, come le uniche paure biologiche sono cadere e quella i rumori forti; tutte le altre sono state indotte. Il paradosso è che l’uomo, durante il percorso della sua vita, coltiva molte paure differenti, ma mai l’unica davvero sensata: la paura di avere paura. A tutti viene insegnato, fin da piccoli, che non bisogna aver paura: nulla di più sbagliato. Se l’uomo non fosse stato un essere pauroso, noi ci saremmo subito estinti.

Una delle più grandi e infami colpevolizzazioni della paura compare già nella Genesi: subito dopo che Adamo ed Eva scoprono di essere nudi non provano vergogna, provano paura. Ecco così che negare la paura, rimuoverla, equivale in qualche modo a depotenziare la paura stessa. Si prenda ad esempio la peste, un qualcosa che viene rappresentato come un enigma, una vertigine che non può essere sostenuta dalla ragione, che incarna la potenza e l’imprevedibilità del destino. In questo senso la paura rappresenta una metafisica, al contrario per esempio di quanto accade in guerra. Lì il nemico è esplicito, evidente. Ma una paura senza nome e un nemico senza volto, creano alienazione.

Per dimostrare questo assioma Marco Filoni porta un esempio calzante: il paradosso del vecchio mandarino, secondo il quale se sei disposto ad uccidere un anziano signore mandarino che si trova dall’altra parte del mondo, puoi diventare l’uomo più ricco in assoluto. In questo caso, come per i cecchini, l’ombra del nemico perde ogni tratto umano e l’autore di questo omicidio non può che impazzire. Non è pensabile, infatti, che basti porre una distanza fisica, una barriera fra l’autore del gesto e il gesto stesso, affinché questo possa essere dimenticato o alleggerito della sua carica etica. Lo stesso ragionamento vale per l’uso delle parole. Quando si vuole porre una distanza linguistica da quello che realmente si compie, utilizzando termini ambigui come “danni collaterali” al posto di “vittime innocenti”, si è tentati di pensare che allora quel gesto non lo si è davvero fatto. Allo stesso modo l’essere umano tende a non dare un eccessivo peso alle conseguenze morali dell’inazione, a non assumersi le colpe derivanti dal non agire in una determinata situazione.

Infine, la sicurezza è mera retorica: non esiste una tana dove rifugiarsi al sicuro per tutta la vita, bisogna andare incontro all’ignoto, al diverso, e fare esattamente come Ambrogio Lorenzetti nell’Allegoria ed effetti del Buono e Cattivo Governo: rappresentare e dare un volto alla paura, così da essere capaci di affrontarla.