Presentando il suo libro Mare aperto, che racconta le trasformazioni del Mediterraneo dal Neolitico a oggi, Luca Misculin adotta un registro teatrale. Dal leggio, la sua voce, accompagnata da immagini proiettate sullo sfondo, intreccia memoria, scienza, cronaca e mito con l’intensità di un romanzo.
Il percorso prende avvio dalle origini geologiche di Lampedusa, illustrate con rigore scientifico ma anche con stupore poetico. L’isola si presenta come una terra antica e lontana, a lungo ostile all’uomo e scarsamente abitata nei secoli. Il suolo è difficile da coltivare e il mare, generoso e crudele, funge da ponte tra Europa e Africa, riflettendo quasi l’anima stessa di Lampedusa. È proprio in questa ambivalenza che si riconosce il carattere profondo dell'isola, specchio del Mediterraneo, mare di passaggi e di incontri, ma anche di confini invalicabili, dove l’emergenza migratoria trasforma un ambiente ricco di vita e biodiversità in uno scenario di morte.
Il racconto si arricchisce di episodi che oscillano tra storia e leggenda: gli eremiti che trovarono rifugio sull’isola, i pirati che approdarono sulle sue coste, l’eco letteraria nell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto. I primi insediamenti stabili arrivarono soltanto a metà Ottocento, per volontà di Ferdinando II delle Due Sicilie. Non manca un paradosso ironico: Giuseppe Tomasi di Lampedusa, autore del Gattopardo, non visitò mai l’isola a lui omonima, morendo senza conoscerla.
Il tono cambia quando Misculin si sposta sulla cronaca contemporanea. L’autore ricorda l’aprile 1986, quando una motovedetta libica, su ordine di Gheddafi, sparò verso una base statunitense sull’isola. Un episodio che accese tensioni internazionali ma che, paradossalmente, diede visibilità a Lampedusa, favorendo un turismo attratto dalle sue coste cristalline più di qualunque campagna promozionale.
Al centro della narrazione rimane però la questione migratoria. Dopo le Primavere arabe, Lampedusa è diventata uno dei principali punti di approdo verso l’Europa. Il 2013 segna l’anno più tragico, ma la crisi umanitaria continua a influenzare il presente. L’immagine che ne restituisce Misculin è complessa: da un lato un’isola di accoglienza e di solidarietà, dall’altro di chiusura e del rifiuto. Una frattura che si materializza persino nello spazio, con gli hotspot sovraffollati a pochi passi dalle strade animate della movida estiva, dove turisti e migranti vivono mondi paralleli senza mai incontrarsi.
Alla fine, la domanda è inevitabile: qual è la vera Lampedusa? Quella che accoglie o quella che respinge? Forse entrambe, suggerisce Misculin, perché l’isola è per sua natura contraddittoria, come nella descrizione iniziale. La scelta resta a chi ascolta: decidere a quale immagine ispirarsi.
Così, tra miti, aneddoti e cronache, Lampedusa si rivela come un luogo in cui le storie non si limitano a passare, ma si depositano e diventano parte della sua identità stratificata, confondendosi con quel mare che la circonda e la definisce.