«Cuzzole è un paese che rimane fieramente paese senza voler diventare borgo» esordisce Stefano Tofani, quando Elisabetta Bucciarelli gli chiede di illustrare carattere e talento del protagonista di La bestia che cercate. Filettole - il vero nome di Cuzzole - è una realtà di passaggio incastrata tra le autostrade del pisano: un paese dormitorio, popolato solo da lavoratori in cerca di appartamenti lowcost a due passi dalla città. Tutto è statico e ripetitivo, come nella Scauri di Lea Russo, la protagonista di Chi dice e chi tace e La fila alle poste. «È un posto in cui si capisce che il tempo è cambiato», racconta Chiara Valerio, «il paese ha un carattere di passaggio», «di transizione». Queste due realtà, geograficamente diverse, ma profondamente simili, sono accomunate anche nella rottura della placida routine: due omicidi minacciano la loro tranquillità.
Il contesto del paese si presta bene a sfondo di indagini, anche se, spiega Valerio, il suo primo intento non era quello di scrivere un giallo da manuale - che non da manuale è rimasto. «L’innamoramento sfigato è la palestra per il giallo», l’espediente adatto per raccontare paturnie e ossessioni amorose senza cadere nella noia. Si ritrovano, nei meandri del romanzo, nel racconto di culture “per fare” e “per arredare”, le orme delle grandi autrici (tra le quali Jane Austen e Charlotte Brontë) che hanno accompagnato la scrittrice durante la sua adolescenza, di grandi personaggi (da Plotina a Mrs. Ramsay), e di persone amate, ma mai raggiunte.
Il romanzo giallo non era l’obiettivo neanche di Tofani - o meglio: non lo sapeva ancora, quando ha buttato giù le prime righe di La bestia che cercate (il titolo riprende il verso finale del componimento Saggia apostrofe a tutti i caccianti di Giorgio Caproni). L'autore, infatti, racconta che vive la scrittura - come la lettura - come un momento di scoperta guidato dall’inconscio (molti personaggi sono ispirati a fatti del suo vissuto, cosa di cui si accorge sempre a posteriori): una vera e propria caccia al tesoro, al racconto. In questa traversata, l’autore resta sempre in compagnia dei suoi personaggi, così come il brigadiere Caso, il protagonista, non è mai abbandonato dal suo gatto Fisher - ispirato al gattino dell’autore. Ricorre anche in La fila alle poste la presenza felina, passata di padrone in padrone, con un'identità mutevole. Nel loro essere oggetti transizionali, i gatti sono esseri letterari che si fanno trasportatori di memoria.
Il ricordo è ciò a cui pensa Tofani quando spiega le ragioni del suo interesse onnipresente per l’adolescenza. «Arrivi ad un punto della vita in cui ti annoi ad essere adulto» racconta, «torno indietro con la scrittura». Lo stesso meccanismo spinge Valerio a scegliere la fila alle poste come emblema del suo nuovo romanzo, rievocando la felicità dell’attesa in coda da bambina, dettata dalla pizzetta rossa della panetteria a fianco. Il tempo passa, ma il piacere dell’attesa agli uffici postali no, svela la scrittrice, che si diverte ad origliare e scoprire differenze di abitudini e possibilità dei suoi compagni di fila.
Tra le innumerevoli somiglianze che attraversano Tofani e Valerio, c’è anche il loro legame comune con la poetessa Patrizia Cavalli, ricordata con affetto per la sua capacità di ritrarre con violenta umanità gli antipodici amore e odio, coesistenti in crescita e distruzione.
Il giallo italiano, concordano Elisabetta Bucciarelli, Stefano Tofani e Chiara Valerio, in tutte le sue forme, è l’unico genere letterario capace di sostenere narrazioni lunghe senza mai essere percepito come un mattone fermaporta. Tra omicidi, ricordi e gatti, con il suo tocco quasi mitologico, si conferma uno strumento efficace per raccontare la normalità nascosta nei paesi e nelle attese di ogni giorno.