04 | 09 | 2025

Linguacciute, curiose, ostinate Maestre

Una panoramica della Querelle des femmes sotto la guida di Simona Feci
«Ahimé, Mio Dio, perché non mi hai fatto nascere maschio? Tutte le mie capacità sarebbero state al tuo servizio, non mi sbaglierei in nulla e sarei perfetta in tutto, come gli uomini dicono di essere»

Risuonano forti, ironiche e incredibilmente provocatorie – ancora oggi – le parole di Christine de Pizan. Scrittrice francese nata in Italia nel 1364, nota per essere stata, in Europa, la prima scrittrice di professione, è inoltre una delle prime ardite voci di quel dibattito, prolungatosi fino al XVIII secolo, sulla dignità ontologica e intellettuale della donna, passato alla storia come Querelle des femmes.

A parlarne è Simona Feci, docente di Storia del diritto medievale e moderno all'Università L'Orientale di Napoli, che, nell’ambito della serie di eventi Collane, sottopone allo sguardo del pubblico una serie di testi, autori e autrici che hanno fatto la storia di questo dibattito – alcuni di questi materialmente presenti, sotto forma di incunaboli o manoscritti, nella Biblioteca Teresiana di Mantova.

De Pizan, infatti, è solo la prima a denunciare apertamente la serie di luoghi comuni che circondano le donne da sempre, e che le condannano ad un destino passivo, di eterne rappresentate da altri.

«Se le donne avessero scritto i libri, sono sicura che li avrebbero fatti in altro modo perché sanno che a torto le si accusa».

Con l’avvento del Rinascimento, anche la trattatistica inizia a farsi domande sul femminile: le donne sono capaci di amare? È consigliabile sposarsi? E c'è di più: possono governare? Hanno capacità intellettiva pari?

In quel periodo, spiega la professoressa, il pensiero dominante è quello aristotelico, secondo cui le donne sono uomini a cui manca un pezzo, contraddistinte da impotenza e concepite dalla natura al solo scopo di partorire figli per gli uomini. A proporre una versione diversa, questa volta, è una voce maschile:

«Et però espressamente dicano che se le donne si esercitassino in dottrina et nelle altre arti liberali, come fanno gli huomini, che certissimo quelle diventerebbero molto più eccellenti che gl’huomini»

Domenico Bruni, ne Le difese delle donne, dedicata ad Eleonora di Toledo, evidenzia uno dei problemi che già aveva i suoi semi nel pensiero di De Pizan e che sarà fondamentale per la querelle: le donne non sono in nulla inferiori agli uomini, sono semplicemente meno istruite.

E le voci delle donne su questo non si fanno attendere, come quella di Lucrezia Marinella, autrice veneziana del XVIII secolo, che sottolinea un punto che è bene ricordare a gran voce anche oggi: la differenza di condizione tra uomini e donne non è in nessun modo un risultato di natura, ma il portato della storia.

«Oh Dio volesse che a questi nostri tempi fosse lecito alle donne d’essercitarsi nelle armi et nelle lettere, che si vedrebbero cose meravigliose. [...] Io non admetto questa sua suppositione, anzi essendo le donne della medesima spetie deli huomini, et havendo una stessa anima, et le stesse potenze […] direi che tanto conviene la speculazione alla donna quanto all’uomo»

Queste parole appaiono rivoluzionarie, ma Simona Feci avverte: è bene non proporre riflessioni anacronistiche, il femminismo nascerà ben più tardi e la realtà quotidiana delle donne, il pensiero dominante è ancora quello degli uomini; uno tra tutti, l’autore de I donneschi difetti, Giuseppe Passi, che è molto chiaro sui soggetti cui dedica il suo trattato

[…] Delle donne Superbe, delle donne avare e traditrici, delle donne iraconde, libidinose, intemperate e lussuriose […]. Delle donne vagabonde, linguacciute [...]. Delle donne curiose, pertinaci, e ostinate.

Dunque non bisogna illudersi, ma, evidenzia la professoressa, è bene conoscere, studiare e sapere con orgoglio che opere simili non rimasero sempre echi nel vuoto, autorevoli singolari. Poco tempo dopo la pubblicazione dell’opera di Passi, infatti, Moderata Fonte, poetessa e pensatrice veneziana, risponde con I meriti delle donne, un’opera in forma di dialogo in cui 7 donne sono rappresentate mentre, riunitesi in conversazione, discutono sul tema senza il peso dello sguardo maschile.

«Se siamo loro inferiori d’autorità, ma non di merito, questo è un abuso, che si è messo nel Mondo, che poi a lungo andare si hanno fatto lecito, e ordinario; [...] Noi sofferiressimo più volentieri, se [...] vi fusse qualche parità, e non ci volessero aver tanto imperio sopra, e con tanta superbia, che vogliono, che siamo loro schiave, e non possiamo far un passo senza domandar loro licentia; [...] parvi, che questo sia così picciolo interesse nostro, che dobbiamo tacere, e lasciarlo passar via sotto silenzio?»

Dunque è bene fare tesoro della lezione di queste «terribilmente linguacciute» maestre, non far passare sotto silenzio i problemi che ancora attanagliano il presente delle donne e approfittare di momenti importanti come quello che ha regalato Simona Feci, per conoscere e tramandare un patrimonio culturale troppo spesso dimenticato.