Sesso e tecnologia sembrano temi molto distanti, ma solo perché si adotta una definizione ristretta di tecnologia. Il sesso, in realtà, ha sempre avuto le sue tecnologie: fossero anche solo ritratti di nudo. Seguire la genealogia della pornografia – termine da usare nel senso più ampio – può essere utile a non scandalizzarsi, ma questo non deve spingerci a rifiutare di vedere i cambiamenti significativi nella sua industria che sono avvenuti con le più recenti rivoluzioni digitali.
In altre parole: forse un sito di video hard somiglia molto a un vecchio giornaletto, ma un profilo OnlyFans non somiglia più molto a nessuno dei due.
Carolina Bandinelli ancora una volta è nell’Aula Magna dell’Università in via Scarsellini e ancora una volta parla di desiderio, in una forma diversa. Sofia Torre, assegnista/ricercatrice in studi di genere e porn studies, è l’anima specialista della serata. Daniele Vaschi, smessi i panni scintillanti di Ariele Frizzante, ammette di aver scritto due libri sui creatori e le creatrici di contenuti su OnlyFans partendo da una prospettiva naïf. Una volta, fuori da un bar di Milano, uno sconosciuto ha gli detto: «la mia ragazza ha OnlyFans», e un altro si è unito: «sì, anche la mia!». Quei ragazzi parlavano della scelta delle loro fidanzate di vendere contenuti erotici on demand online in modo naturale.
I posizionamenti diversi di Vaschi, Bandinelli e Torre emergono subito. La domanda che si pone Vaschi è sulla sincerità di questa naturalezza: racconta di ragazzi che a fine intervista si sono rifiutati di firmare le liberatorie e del costante tentativo di giustificarsi (excusatio non petita) di molti dei creator con cui ha parlato.
Per Bandinelli, invece, la domanda da porre è in termini di emancipazione. Le femministe si sono sempre divise sul tema della pornografia, e l’argomentazione delle femministe contrarie è sempre stata, oltre alla critica dello sguardo maschile, quella della pornografia come industria e sfruttamento. Con OnlyFans questo, è chiaro, cambia. Siamo nel 2025, in piena gig economy, ed è normale per sempre più persone dipendere non da un direttore di fantozziana memoria, ma dai proventi di un’attività aperta su Uber o su AirBnb. Nessuno dà ordini, e intanto sono tutti dipendenti da una piattaforma. Torre sottolinea la prospettiva individuale e di autodeterminazione del concetto di emancipazione – per qualcuna essere su OnlyFans è più pesante che fare la scaffalista al supermercato, per qualcuna meno – mentre Bandinelli vuole comunque tracciare qualche linea oggettiva fra una situazione di costrizione e una di scelta. Sapendo però che i ventagli di scelte si aprono di più o di meno a seconda dei contesti.
Ma una piattaforma come OnlyFans è diversa da un sito porno qualsiasi non solo nell’organizzazione della forza lavoro, ma anche nel contenuto. Chi la apre aspettandosi video di pratiche sessuali estreme rimarrà deluso: non avrebbe neanche senso pagarli, visto che sono disponibili gratuitamente sul web. La «risonanza corporea» di cui parlava Susanna Paasonen – l’idea che il corpo abbia sempre una reazione, fosse anche di disgusto, alla raffigurazione sessuale di altri corpi – è sempre più lontana. Si sta vendendo qualcosa di diverso: lavoro emotivo. Un rapporto uno a uno, affetto, qualcuno che risponde sempre. Secondo Torre, è la ricerca di quell’intimità che non riusciamo a costruire perché lavoriamo troppo per avere tempo e forze di coltivare i rapporti. E allora vanno bene anche i messaggi della ragazza di OnlyFans di turno: pure se, come racconta Vaschi, qualche volta li scrivono gli amici maschi ventenni del «pappone digitale» di turno, che con turni massacranti smaltiscono i messaggi privati spacciandosi per la creator. Dopotutto, la mole di lavoro sarebbe troppo pesante per una persona sola; e comunque, giura il pappone, i maschi sono bravissimi a vendere contenuti sessuali ai maschi.