Platone, nella Repubblica, mette in guardia: troppa ricchezza e troppa povertà distruggono l’armonia di una città e la giustizia non è compatibile con l’accumulazione smisurata. Anche Aristotele guarda all’eccesso di ricchezza e lo condanna: distingue l’uso naturale dei beni dall’accumulo senza fine, la crematistica, e la addita come innaturale e corrosiva, suggerendo come soluzione al problema la messa al bando dei ricchi. Nel medioevo si continua a ragionare in proposito e non ci sono dubbi: l’avarizia è un vizio, l’amore per il denaro è qualcosa di peccaminoso ed è bene che chi possiede ricchezza si spenda per i più deboli.
Poggio Bracciolini, nell’ottica di staccarsi dalla morale cristiana, cerca nel XIV secolo una giustificazione all’esistenza dei ricchi nel mondo, ma lo fa presentandoli come “granai di ricchezza” della società, riserve cui attingere nei tempi difficili. Non più peccatori, ma serbatoi utili, che per legittimare la propria presenza hanno l’obbligo di mettere a disposizione i beni in caso di emergenza, pena il discredito sociale.
Se la riflessione sulla disuguaglianza economica è un filo che attraversa i secoli, Guido Alfani, professore ordinario di storia economica presso l’università Bocconi, lo raccoglie con forza per portarlo nel presente. Dialogando con il giornalista Giovanni Zagni, presenta il suo ultimo saggio Come Dei tra gli uomini e pone con esso una serie di quesiti che - partendo dall’antichità, passano per la peste del ‘300, fino ad arrivare allo stilarsi della Costituzione Italiana e oltre – si dimostrano fondamentali: ragionare sulle disuguaglianze e comprendere con cura l’oggetto di tale ricerca non è sterile astrattismo, ma una risposta concreta ad un problema che nel 2025 diventa sempre più reale.
Certo è che è difficile: i dati non sono semplici da misurare, perché la tassazione viene operata sul reddito e non più sulla ricchezza, che rimane incredibilmente volatile; d’altra parte, il presente ha un’ulteriore complicazione: la ricchezza è sempre meno legata a beni materiali e sempre più a capitali mobili, invisibili, che sfuggono alla tassazione. Ciò che è certo – nella definizione di Alfani – è che la ricchezza è una questione di relazione e di squilibrio.
Seguendo Poggio Bracciolini, Alfani mostra poi come nella storia il contributo dei ricchi durante le grandi crisi, che fossero la peste o la seconda guerra mondiale, fosse preteso dalla società e dalla politica, tramite prestiti forzosi. Tale manovra, per tornare al medioevo, serviva anche a pulire l’onta della propria ricchezza. Ad oggi però questo non succede: la politica non avanza una simile istanza e dal basso le richieste, quando ci sono, restano inascoltate. Forse, addirittura, non ce lo si aspetta più.
Dunque cosa fare? Secondo il professore, le uniche armi possibili restano la progressività fiscale, anche se va sempre più incrinandosi, e la tassazione delle eredità – per le quali l'Italia resta ancora oggi un paradiso fiscale.
«Dobbiamo ricordare com’era concepita la tassazione dell’eredità dagli inizi del ‘900 fino gli anni ‘70: uno strumento importante per dare alle nuove generazioni più o meno le stesse opportunità. Perché non reintrodurre tale tassazione, magari finalizzandola a fondi per l’istruzione pubblica? Per favorire mobilità sociale in futuro, bisogna favorire l’educazione»
Ciò che sicuramente è chiaro e visibile, soprattutto durante momenti come questo, è che il passato può essere grande maestro. Il problema, forse, è anche che si dovrebbe smettere di fare mera retorica su argomenti fondamentali, ascoltare la storia – che bene riflette crisi e problemi – e coloro che, come il professor Alfani, sanno farsene acuti portavoce, ricordando da dove si viene per avere la speranza di una direzione.
«Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese»