A volte un accento può cambiare il significato di una parola, e con esso l’intera frase. Altre volte, mettere l’accento in un posto diverso può trasportare in un tempo completamente – o forse non così tanto - diverso. È quello che succede con l’accento di Benedetta Tobagi, Da suddite a cittadine, che ha portato il pubblico del Festival a 80 anni fa: al 1945, quando viene sancito per decreto-legge il diritto di voto alle donne.
Un passo importante, ricordato anche dal film C’è ancora domani o da podcast come Senza rossetto, che è il risultato di migliaia di passi (o pedalate in bicicletta) delle attiviste per i diritti delle donne in Italia, ed era solo l’inizio per il diritto ad essere elette, che sarebbe arrivato solo l’anno successivo.
Quella delle donne, sottolinea infatti l’autrice Benedetta Tobagi, è stata una lunga lotta, che perdura ancora oggi, e che ha portato ad enormi conquiste, come quella del diritto di voto. Una cosa che oggi diamo per scontata, come un diritto che ognuno raggiunge una volta maggiorenne, ma che nel secolo scorso è stato conquistato con molta fatica.
L’autrice apre la storia con un documento: una lettera scritta il 25 aprile 1945 da Teresa Mattei, nella quale viene espresso l’entusiasmo per la liberazione dal nazifascismo e la vittoria della Resistenza (la liberazione di Milano è avvenuta mezz’ora prima che iniziasse a scrivere la lettera), dove anche le donne hanno avuto un ruolo fondamentale.
Ma la sfida non finisce lì: a questo punto, la lotta femminile per i diritti civili deve continuare. Questa battaglia, infatti, non nasce nel 1945, ma pone le sue radici all’inizio del secolo. Tobagi ricorda innanzitutto la cosiddetta “pagina d’oro”, il periodo compreso fra il 1904 e il 1906, durante il quale viene presentata la prima di numerose richieste di diritto al voto femminile.
Per anni si presentano pareri contrastanti sull’argomento, di uomini e donne, fra i quali Tobagi cita come significativa una frase di Ada Negri, che disse: «Se può votare il mio portinaio, non vedo perché non possa farlo anche io». Le donne si ritengono dunque perfettamente in grado di esprimersi e di contribuire alla buona organizzazione del Paese. Avevano, infatti, lavorato duramente durante la Prima guerra mondiale, sostituendo gli uomini nelle loro mansioni, ed erano state partigiane attive durante il Fascismo.
Ora possono e vogliono partecipare alla ricostruzione del Paese.
Da questo ideale nascono il movimento suffragista e altre organizzazioni, come quelle “pro voto”, e l’UDI - Unione delle Donne Italiane, improntate all’attivismo e all’indipendenza femminile. Il 2 febbraio 1945, su spinta di De Gasperi e Togliatti, viene emanato un decreto che consente il voto femminile.
Le donne non si fermano qui: rivendicano il diritto di poter essere elette, esprimendo il loro parere anche all’interno della Consulta. Angela Maria Guidi Cingolani è la prima donna a parlare nella Consulta, sostenendo: «le donne al governo non possono certamente fare peggio degli uomini».
Finalmente, nel 1946 le donne ottengono anche il diritto all’elezione, rimanendo unite e resistendo agli attacchi politici ricevuti, continuamente, anche sul piano fisico e di giudizio morale.
Le donne votano per la prima volta il 2 giugno 1946. Un momento che Anna Banti ricorda come il più emozionante di quell’anno, un'emozione che solo «donne e analfabeti» avrebbero potuto comprendere. Un momento raggiunto dopo una campagna di incoraggiamento verso le donne a non avere paura di esprimersi nel voto, anche in maniera diversa dal marito. Così il 2 giugno l’89,2% delle elettrici si presenta alle urne, e decreta con i colleghi uomini la nascita della Repubblica, oltre all'elezione delle prime 12 sindache italiane.
Un risultato imprevisto, forse insperato, ma che ha cancellato i dubbi sulla temuta astensione delle donne, e che ha aperto due nuovi capitoli: quello dell’indipendenza dalle figure maschili familiari, e del bisogno di fare comunità. È infatti affascinante osservare questi numeri, alla luce del fatto che siano stati raggiunti attraverso una militanza che andava di porta in porta, nelle case delle donne, giovani, anziane, di provincia, in campagna – anche in bicicletta – attraverso la forza di quelle che venivano chiamate le draghe.
Delle Daenerys Targaryen – dice Tobagi – ma meglio, perché i draghi non li hanno domati. I draghi – ANZI: le draghe - erano loro.
Le draghe, forse, dobbiamo essere anche noi, 80 anni dopo.