07 | 09 | 2025

Napoli on the dancefloor

Tra case discografiche cittadine e culture underground, una mappa di Napoli attraverso la musica e i suoi dancefloor, per una città “post-coloniale”

Come si racconta un dj-set? Attraverso la selezione musicale? La vibe del dj? L’ambiente che si crea? Tutto è possibile. Ma dopo aver ascoltato la conversazione tra la giornalista musicale Giulia Cavaliere e l’antropologo Gennaro Ascione, sul libro Napoli balla, forse conviene partire dai corpi danzanti.

Il duo di Napoli Segreta accende il sabato sera di Mantova: con ritmi da disco, improvvisazioni jazz ed echi mediterranei (se il Mediterraneo fosse anche un po’ caraibico), il dancefloor si illumina di blu. Sedie e tavolini delimitano il perimetro del dancefloor. Qualche gruppo di amici e alcune coppie si lanciano in una tiepida danza. Improvvisamente l'immagine di un night club esclusivo, tipico del dopoguerra, affiora alla mente: Ascione racconta di un luogo con tavolini e persone sedute, dove la danza è solo parte di un'esperienza la cui colonna sonora è il jazz americano passato dalla Francia. Un luogo che viene messo al centro delle parodie nei testi di Carosone, che, racconta Ascione, è diventato l'artista che conosciamo nell'Italia delle colonie: dove l'appiglio per comprendere lingue a lui sconosciute era il loro ritmo, che mescolò con quello che conosceva - il varietà italiano - e quello che incontrerà durante la prigionia inglese: lo swing.

Quando finalmente i tavolini si spostano, nasce il dancefloor…

Torniamo a Mantova, 2025: il duo a Napoli segreta, serafici dietro alla loro console, prosegue nella selezione musicale, con ritmi che richiamano connessioni inaspettate tra jazz e disco. Sul dancefloor le persone aumentano: impossibile resistere.

Siamo verso la fine degli anni ‘70: l'innovazione tecnica aiuta lo sviluppo di una console a due piatti, che favorisce lo sviluppo di quello che sarà poi l’hip-hop e della discomusic, bistrattata dalla politica italiana, che la trovava troppo edonista e che sconsigliava di darsi al “travoltismo”.

Mantova, 2025: Sono corpi fatti di paillettes: in piccoli cerchi di amici, satelliti che piano piano si avvicinano tutti al loro pianeta, il dj.

Siamo nella seconda metà degli anni ‘70: l'innovazione tecnica aiuta lo sviluppo di una console a due piatti, che favorisce lo sviluppo di quello che sarà poi l’hip-hop e della discomusic, bistrattata dalla politica italiana, che la trovava troppo edonista e che sconsigliava di darsi al “travoltismo”. Ascione racconta che è proprio anche l’innovazione tecnica a permettere lo sviluppo di un’alleanza tra il dancefloor e il dj: entrambi si ribellano alla musica da heavy rotation spinta dalle major musicali, e i dj si creano nuovi spazi dove trovare e mettere sui piatti una musica diversa. «È un po’ come cantava Bob Marley in Cornerstone» dice Ascione «dove la pietra rifiutata dal costruttore diventa poi la pietra angolare di qualcos’altro», e lo stesso avviene per questa musica. Sono anni di grande apertura, gli anni in cui James Senese fonda i Napoli Centrale, rompendo le regole della forma canzone e mescolando jazz, blues e afrobeat. Nelle piccole case discografiche della città si registrano sempre più esperimenti, anche sotto pseudonimo (i Napoli Segreta ci mostrano un vinile di E. Libativa, che se letto al contrario è un ben più noto cognome: Avitabile), fino ad arrivare a sperimentazioni come «una conversazione tra due sassofoni che imitano il barrito degli elefanti».

Mantova, 2025: il dancefloor in Piazza Leon Battista Alberti è ormai pieno di persone che danzano «per sé stessi e poi magari per interagire con gli altri», come direbbe Ascione. Il basso continuo e la batteria sostengono brani che dalla discomusic si spostano sempre più verso le improvvisazioni tipiche del jazz nella forma, ma che nel ritmo sanno di un abbraccio dal sud del mondo. I testi nonsense convincono anche i corpi più timidi: del resto, come resistere a una cicogna immagine della falsità, e l’amore della verità? Un gruppo di ragazzi ormai ha preso possesso dello spazio davanti alla consolle e usa la propria danza per esprimere la gioia di ogni nuovo pezzo. «Senti che basso!», dice un volontario del festival.

Anni ‘80: Napoli diventa la città delle sottoculture visibili. Non importa a quale senti di appartenere, sai già dove andare, dice Ascione. E mentre Pino Daniele diventa un fenomeno globale, i giovani che ascoltano la new-wave e il punk colonizzano i localini sotterranei di Napoli. Entrambi però fanno una cosa importante: scavalcano l’etnicizzazione della cultura cittadina, che avveniva normalmente attraverso l’uso del napoletano e del racconto del disagio, e portano l’uno l’intimismo nei testi, gli altri il linguaggio del corpo. Le influenze musicali arrivano da due ingressi differenti: il porto di Napoli, dove attracca la musica jazz, blues e R’n’b; e gli amici che rientrano da viaggi a Londra e portano con sé dischi nuovi: una rete di relazioni che porta in città il punk, e che sosterrà poi lo scoppio del movimento techno.

Mantova, 2025: il dancefloor non ha più confini. Le persone danzano anche in piazza, dietro alla consolle, spostano i tavolini per allargare sempre più il limite del dancefloor. È una pratica di incontro, di sorrisi, di movimenti copiati e ispirati, di gioia incontenibile. I Napoli Segreta alzano sempre più l’asticella, con brani travolgenti in cui il sax canta e i bassi invitano a battere le mani verso il cielo.

Napoli, 2025: la selezione di brani dei Napoli Segreta nasce appunto da una ricerca meticolosa di dischi appartenenti al mercato locale della musica da dancefloor sviluppatosi tra il 1977 e il 1984. Un mercato locale che aveva etichette come la Beautiful Black Butterfly, vicina di casa di Pino Daniele, che lo provinò e lo scartò («come la Decca coi Beatles!», dice Cavaliere), e che riserva soprese continue, tra brani di meteore che però erano immancabili sui dancefloor cittadini, a grandi nomi che si dedicavano alla sperimentazione solo nel mercato discografico della città. Ne emerge una mappa – rigorosa ma pulsante – di una Napoli che si toglie di dosso l’immagine romantica – e diciamolo: un po’ colonizzata dal turismo di massa – e che si apre come città connessa ad altre, tramite una cultura underground che libera i corpi e trova la sua epoca post-coloniale nell’incontro interculturale. «Ora abbiamo Liberato, che è un grande innovatore della lingua e del racconto della Napoli quotidiana; ma anche gli afrobeats, che non è l’afro beat, ma la musica di ragazzi di seconda generazione che connettono i suoni della Nigeria a quelli del Brasile, senza passare per Londra o New York».

Mantova, 2025: l’ultimo pezzo esplode in un grande applauso dal dancefloor. L’applauso non si spegne: se volete farci smettere di ballare, almeno passate un ultimo pezzo. I Napoli Segreta obbediscono alla richiesta implicita del dancefloor.

«Sono convinto che si continuerà a danzare insieme per molto tempo», diceva Ascione nel pomeriggio. Siamo convinti che gli echi di questa Mantova Segreta danzeranno dentro di noi per molto tempo.