04 | 09 | 2025

Quando il mondo è un videogioco: tra filosofia, rappresentazione e realtà

Cosa significa giocare e perchè dovremmo occuparcene? Stefano Gualeni risponde

Trovare la definizione corretta di alcuni concetti non è mai semplice - ciò vale anche per la letteratura. Svago, intrattenimento, ma anche strumento culturale e sociale utile a rafforzare i pilastri che tengono unita una comunità: ma definire la letteratura in modo univoco è quasi impossibile. Allo stesso modo, che cos’è un videogioco?

Stefano Gualeni— filosofo e game designer — ci ricorda che anche nel mondo dei giochi questo dilemma permane. Come nella riflessione inattesa di Bernard Suits, per il quale «giocare è il tentativo volontario di superare ostacoli non necessari», è evidente che resta una definizione troppo complessa per poter essere risposta alla semplice domanda "cos’è un gioco?". Il gioco — come la letteratura — è una costruzione, un'organizzazione del tempo libero, una cornice in cui il piacere risiede nella competizione o nella sfida progettata dal game designer, figura affine allo scrittore di gialli: deve fornire al giocatore — come al lettore — tutti gli elementi per arrivare alla soluzione, ma senza rivelarla troppo presto, preservando sorpresa e tensione.

Molti videogiochi seguono una trama che conduce il personaggio da A a B così come altri contribuiscono all’apprendimento o veicolano valori culturali. Ed è qui che Gualeni inserisce il cuore del suo discorso: i videogiochi sono massa mediatica — media che devono essere considerati in tutta la loro portata. Nel suo libro più recente, Il videogioco del mondo. Istruzioni per l’uso (2024), Gualeni intreccia la sua formazione filosofica con la sua esperienza da game designer: esistenzialismo e semiotica per mostrare come il confine fra volto e maschera, virtuale e reale, sia più fluido di quanto immaginiamo. I mondi virtuali sono certamente più “semplici” e ripetitivi di quello che ci circonda, ma hanno comunque le caratteristiche di un mondo, a tutti gli effetti: sono persistenti, interattivi, coerenti. Che ambienti virtuali possano essere esperiti come mondi non è un punto di vista controverso, anzi si tratta di un’idea condivisa da diverse prospettive accademiche. La finzione digitale non è mera evasione, ma un bacino di potenzialità che ha effetti concreti.

In definitiva potremmo dire che anche se la definizione di gioco rimane aperta - come quella di letteratura -, sappiamo però che i videogiochi sono media potentissimi, modelli filosofici e estetici agiti, non semplici strumenti narrativi. Gualeni invita a percepire i «mondi digitali» non come realtà fittizie innocue, ma come forze che plasmano anche i mondi reali pensiero. Se il gioco è costruttore di mondi e di sé, imparare a giocare significa forse recuperare un nuovo umanesimo post-digitale, dove l’agire virtuale è concreta esperienza filosofica.

Nel virtuale si veicolano idee, valori etici, atteggiamenti inconsci e identificazioni che diventano nostri: e l’immedesimazione ha un costo, incisivo e subdolo. Se oggi “tutto è un gioco”, nulla è più “solo un gioco”: forse è il momento di imparare a giocare, ma con consapevolezza. Per fare esperienza concreta di quanto detto, digitate: “something, something, soup something” su un motore di ricerca e iniziare a giocare.