05 | 09 | 2024

Quanto ancora non sappiamo dell'oceano

Un viaggio esplorativo degli abissi con l'oceanologa Helen Czerski

Quando parliamo della Terra ci rivolgiamo a lei chiamandola il "Pianeta Blu", eppure cos'è questo fantomatico blu con cui arriviamo perfino a identificare il nostro luogo di appartenenza? Cos'è l'oceano? Negli anni ’70, dallo spazio, gli astronauti delle missioni Apollo fotografavano per la prima volta nella sua interezza il nostro pianeta. Per la prima volta ne abbiamo avuto un’immagine che lo ritrae dall’esterno, rendendoci conto che la Terra è fatta molto poco di terre emerse e molto da blu, tanto che una delle foto, scattata del 1972, prende il nome di Blue Marble, per via dell’effetto del colore brillante degli oceani marmorizzato dal bianco delle nuvole. Nonostante ciò, a cinquant’anni da quel momento storico, la nostra prospettiva (quella occidentale per lo meno) non ha smesso di essere concentrata sui propri pezzettini di terra, piuttosto che guardare alle immense distese d’acqua che li distanziano. Il risultato è che raramente ci poniamo la questione di conoscere l’oceano e rimaniamo nell’illusione che sia una massa inerte e uniforme, una specie di grande stagno senza nulla di interessante.

Così, quando Helen Czerski viene a contatto con il mondo nascosto al di sotto della superficie, la sua prima reazione è di stupore, unito però a una forte indignazione: perché nessuno le aveva mai parlato dell’oceano, come era possibile che in anni e anni di studi accademici nel campo della fisica sperimentale nessuno l’avesse portata prima alla scoperta di un mondo che conserva una storia tanto imponente? Per una pura casualità nel suo percorso, si imbatte nello Scripps Institute of Oceanography, aggiungendo al suo curriculum il titolo di oceanologa oltre che di fisica, dedicandosi inoltre alla divulgazione di quella branca della scienza tanto bistrattata e ignorata dal dibattito pubblico. Nel suo libro La macchina blu (Bollati Boringhieri, 2024) l’autrice ha raccolto le conoscenze accumulate nel corso dei suoi studi per metterle al servizio del lettore e dargli l’opportunità di comprendere il perché l’oceano sia un motore essenziale per il pianeta e abbia un ruolo cruciale anche nella definizione delle nostre culture. Tutto parte dalla domanda iniziale: cos’è l’oceano?

Innanzitutto, l’oceano ha un’anatomia: è costituito da strati con densità differenti che non si mischiano, e le sue acque non sono tutte uguali, poiché si differenziano per salinità, acidità, trasparenza. Possiede inoltre delle risorse che possono tornarci molto utili per la lotta contro la crisi climatica, data la sua capacità di assorbimento (fino al 30%) dell’anidride carbonica presente in eccesso nell’atmosfera. Il primo pensiero che ci sovviene quando apprendiamo questa informazione è come fare ad aumentare tale percentuale, magari sversando in mare degli agenti chimici che portino a un livello superiore lo sfruttamento, ignari delle conseguenze. «We should understand and have respect for the ocean before making a decision for it» dice con un pizzico di rabbia l’autrice, rimarcando la nostra mancanza di umiltà nell’approcciarci all’oceano.

Mancanza di umiltà che, però, è la caratteristica di un modo tutto occidentale di guardare ai mari, che nel corso dei secoli sono stati esplorati per sete di conquista e con l’obiettivo di ricevere da un qualche monarca una cospicua ricompensa in denaro. È inevitabile per gli esseri umani intrattenere un rapporto con l’oceano, ma non per tutti i popoli è lo stesso. Czerski racconta della sua esperienza con le popolazioni indigene hawaiane, di come il loro sguardo sull’acqua sia differente rispetto al nostro. Le Hawaii sono un arcipelago in un oceano, il Pacifico, che è di una vastità inimmaginabile e per gli abitanti è un mezzo di comunicazione, di connessione tra isola e isola. Sin dall’inizio della loro storia hanno dovuto osservarlo e ascoltarlo per capirlo davvero, altrimenti per loro la vita non sarebbe stata possibile, e ne è conseguito il rispetto per un elemento che non siamo in grado di variare a nostro piacimento, ma che possiamo solo imparare a conoscere.

L’oceano può mostrarci i limiti della nostra prospettiva ristretta e antropocentrica, ci mette davanti alla sfida di guardare alla sua vastità con molteplici strumenti, perché esso comprende sia la dimensione del microscopico che del macroscopico, e dall’intersezione dei vari punti di vista possiamo costruirne la conoscenza. Dobbiamo ridefinire il nostro concetto di esplorazione dei mari, non più basato sulla conquista come lo è stato nei secoli scorsi, per direzionarlo verso l’apprendimento e lo stupore. La scoperta del mare può essere ancora molto avventurosa.