Esiste un modo più giusto di parlare di salvataggi in mare e migrazioni. Ne è convinto Luca Misculin, giornalista de Il Post che a marzo del 2023 ha passato dodici giorni a bordo della Geo Barents, la nave usata da Medici Senza Frontiere per le operazioni di soccorso nel Mediterraneo.
La narrazione delle migrazioni negli ultimi decenni, infatti, ha subito una pesante strumentalizzazione politica che ha reso il discorso approssimativo e fuorviante. È sempre più frequente sentire parlare di flussi migratori solo in termini geografici ed eurocentrici, perdendo così di vista sia l’elemento umano sia quello logistico. Per Misculin questi due aspetti si uniscono nell’atto del salvataggio, ed è per questo che ha deciso di raccontare dettagliatamente i protocolli tecnici e le azioni quotidiane dell'esperienza sulla Geo Barents nel podcast La nave.
Al centro del mirino, spiega Misculin, le navi delle ONG sono il capro espiatorio perfetto di un discorso populista e sempre più conservatore: l’equipaggio che ci lavora è formato da persone che vengono da ogni parte del mondo, sono spesso navi straniere che portano “stranieri” - anche - nei porti italiani. È necessario contrastare questa narrazione, che può attecchire solo su una conoscenza superficiale. Da questa esigenza nasce, quindi, il reportage di Misculin, con l'obiettivo di spiegare come funzionano le prassi di salvataggio al largo delle coste del Mediterraneo, come sono organizzati i soccorsi, in che ordine sono prelevate le persone dalle imbarcazioni di fortuna, stipate a centinaia in uno spazio pensato per dieci o dodici persone.
La concretezza con cui Misculin riferisce degli elementi pratici osservati sulla nave, come il materiale plastico e traforato sul fondo delle scialuppe di salvataggio - utile ad evitare che la miscela abrasiva di acqua salata e carburante di cui spesso sono imbevuti gli abiti delle persone migranti si accumuli sul fondo e provochi ustioni laceranti - o le finalità dei protocolli a cui l’equipaggio si attiene rigorosamente, hanno l’obiettivo stimolare gli ascoltatori a capire e conoscere meglio le ragioni che muovono le navi e le persone.
Se riumanizzare il linguaggio è la missione di chi lavora con le parole, l’architetto Raul Pantaleo è salito a bordo della Life Support di Emergency con l’obiettivo di riumanizzare gli spazi. Pantaleo, che dall’esperienza sulla ONG ha tratto insieme a Marta Gerardi la graphic novel La Nave (Beccogiallo, 2024), descrive queste navi costruite per affrontare condizioni di vita estreme come «gioielli di precisione»: all'interno ogni spazio è estremamente ottimizzato e questo influisce anche sulle relazioni che si creano al suo interno. Già esperto architetto con alle spalle la costruzione, insieme a Emergency, di ospedali e strutture ricettive in zone di guerra, sulla Life Support Pantaleo si è occupato della shelter area, che ha deciso di riumanizzare colorandone il soffitto. Soffermandosi sull’aspetto politico della bellezza, che, sostiene, è un diritto anche per le persone migranti, Pantaleo descrive l’importanza del processo di cura, che passa in primis dagli spazi in cui le persone vengono accolte. Ricorda, a tal proposito, l’abitudine che aveva Gino Strada di piantare i fiori attorno alle strutture mediche in Afghanistan, durante le missioni umanitarie. La graphic novel diventa così a sua volta uno strumento di trasmissione della bellezza, e riesce a rendere intuitivamente la differenza che possono giocare, in un dato spazio, le forme e i colori.
Dal 2014, anno in cui il governo italiano interrompe l’operazione Mare Nostrum, nata a seguito del naufragio di Lampedusa dell’ottobre 2013 che provocò la morte di 368 persone, le missioni italiane in mare non sono più missioni umanitarie, ma di sicurezza. Dal 2018 la gestione di ciò che accade nel Mediterraneo non è più sotto la supervisione della Guardia Costiera, che dispone di imbarcazioni ed equipaggi preparati alle condizioni estreme in cui spesso si svolgono i salvataggi, bensì dalla Guardia di Finanza, che invece non è in grado di operare in condizioni meteo particolarmente avverse. Da decenni una progressiva limitazione delle missioni umanitarie impedisce agli operatori di lavorare e alle persone migranti di sopravvivere, regredendo su un terreno, quello dei diritti umani e del soccorso delle persone in mare, per cui - a volte lo si dimentica - si è faticosamente combattuto.