Nel 2011 la Siria assiste ad un’ondata di proteste contro il regime di Bashar al-Assad, il più repressivo della regione, e con le proteste scoppia anche la guerra civile, presto evoluta in guerra proxy, o per procura. Nella zona di Idlib, Hayat Tahrir al-Sham (HTS), un'organizzazione di opposizione al regime, stabilisce il proprio quartier generale: qui Raed Fares, Ahmad Jalal, Hammoud Jounaid e Khaled al Essa fondano, nel 2013, RadioFresh, radio indipendente e in opposizione ad Assad.
Jo Meg Kennedy ha raccontato l’esperienza di RadioFresh nel reportage omonimo, presentato nella serie di Festivaletteratura "Meglio di un romanzo" e curato insieme a Leila Belhadj Mohamed e Christian Elia.
La radio nasce inizialmente come supporto agli Osservatori, enti con il compito di informare sui luoghi degli attacchi e dei checkpoint: gli Osservatori operavano via telefono cellulare - difficilmente acquistabile dopo l’inizio della guerra. La radio, più diffusa, permetteva di raggiungere con più facilità un maggior numero di persone. Col tempo RadioFresh si sviluppa e le voci dei nuovi giornalisti che iniziano a parteciparvi la trasformano in una realtà che diffonde cultura, oltre che notizie. Il giornalismo siriano si trovava da decenni in un momento di crisi, dovuta alla repressione del regime della famiglia di Assad, instauratosi per la prima volta nel 1971. Radiofresh diventa allora anche un’esperienza formativa e professionalizzante per la nuova classe di giornalisti. L’attività di Radiofresh diventa uno spazio di autonarrazione, in cui giornalisti locali prendono la parola e raccontano la storia del proprio Paese da un punto di vista interno. In questo senso è fondamentale raccontare la storia e il lavoro di Radiofresh, così da restituire alle voci siriane un’attenzione e uno spazio che spesso vengono occupati da giornalisti occidentali, i quali apportano alla discussione sul tema uno sguardo inevitabilmente coloniale.
La nascita di Radiofresh si inserisce in un contesto di cambiamenti del mondo dell’informazione, primo fra tutti l’avvento dei social media. Durante le rivoluzioni che hanno attraversato l’area SWANA i social diventarono un’alternativa alle televisioni di regime dei vari Stati e costituirono l’unico modo di ottenere informazioni quando i media occidentali, molto più concentrati sulla breaking news, decidevano di sorvolare sulla situazione di guerra. I social restituiscono a tutte le soggettività marginalizzate il diritto di auto raccontarsi, ma portano con sé anche delle insidie, legate soprattutto alla facilità con cui le fonti possono essere oscurate, sia da governi che da hacker. Anche questo ha un impatto sulla narrazione: controllare il mondo social, infatti, permette di proporre un certo immaginario che diventa quello dominante.
Secondo Christian Elia ciò che è successo e sta succedendo in Siria e nell’area SWANA ha fornito al giornalismo occidentale l’opportunità di mettere in discussione il proprio modus operandi. Il giornalista, volente o nolente, ha un ruolo formativo e educativo nei confronti dei lettori e dovrebbe sempre porre grande attenzione al linguaggio che usa, il quale plasma anche il messaggio trasmesso al pubblico. Proprio per questo, ad esempio, non bisognerebbe parlare di Medio Oriente o di Primavere arabe (espressioni che restituiscono uno sguardo occidentalista), ma di sud-ovest asiatico e di rivoluzioni.
In queste regioni, la categoria dei giornalisti è oggi in crisi, messa in difficoltà dalle repressioni, dagli attacchi mirati e (soprattutto nel caso dei giornalisti razzializzati) dalla deumanizzazione e dalla messa in discussione del proprio ruolo. È in queste circostanze che la storia dei giornalisti di RadioFresh diventa una luce a cui rivolgersi.