Alessia Gazzola si approccia ad Agatha Christie come tutti noi: legge Dieci piccoli indiani, rimane sgomenta dal finale e s’innamora della sua penna, tanto fine quanto tagliente.
Tuttavia non si accontenta, non resta semplice ammiratrice. Diventa vera e propria appassionata: si informa, studia la sua vita, ne carpisce il fulcro. Intraprende l’indagine per scoprire l’identità autentica della giallista per antonomasia, che ha lasciato qualche spurio indizio di sè un po’ nella curiosità di Miss Marple, un po’ nella perizia di Poirot, e un po’ nella propria autobiografia: ciononostante, la donna inglese struttura la narrazione di sé al pubblico esattamente come un mistero da svelare, senza, però, esplicitarne la soluzione.
Questo impressiona la bestsellerista italiana che, rispondendo a Luca Crovi, sviscera la genialità della scrittrice britannica, sino ad arrivare alla propria ultima saga, caratterizzata da uno stile molto vicino a quello “christiano”.
«Christie è un genere: è lei che inventa il giallo» oppure «la Christie è un brand assoluto»: Alessia Gazzola la ritiene unica, non crede si possa replicare la sua incisività nella letteratura, per lo meno nel suo genere. Il motivo? Agatha Christie è poliedrica, sfuggente, riesce a riferirsi ad un pubblico estremamente vasto, grazie ai propri molteplici interessi. È ferrata su archeologia, tossicologia, teatro, surf: non teme l’anticonvenzionalità, ma la rende il suo punto di forza. Agisce in maniera metodica: da una scintilla, uno spunto qualsiasi, nasce un’idea, nasce l’omicidio. L’atmosfera è influenzata dall’ambientazione e dall’epoca, ma il centro della narrazione rimane focalizzato sui sentimenti dei personaggi, anziché sulle tematiche sociali. Tutti sono potenziali colpevoli. Tutti sono ipocriti. Tutti, in qualche modo, traggono giovamento dall’accaduto. Ecco le tessere con cui la Christie ha realizzato ogni volta dei capolavori.
Alessia Gazzola allora la reinventa, si discosta dalla modalità di scrittura tipica del resto dei propri romanzi per voler rischiare, cambiare, estendersi anch'ella ad un parterre più ampio. Miss Bee non è un medico legale come Alice Allevi né un'archeologa come Costanza Macallè, ma neppure una "ficcanaso cronica", similmente a Miss Marple: è una ragazza intraprendente ritrovatasi, totalmente per caso, in una fitta indagine.
Il linguaggio è scorrevole, a tratti umoristico e, per la prima volta, in terza persona.
Le differenze, però, sono evidenti, a partire dalla commistione tra il genere poliziesco e quello romantico, che, se in Christie sono accuratamente e volutamente separati, nei romanzi di Gazzola si fondono con l'evolversi delle vicende dei protagonisti.
Cercando analogie, la somiglianza stilistica è notevole con Nina la poliziotta dilettante di Carolina Invernizio, che Gazzola e Crovi tengono a definire uno spartiacque della letteratura italiana, accostabile ad Emilio De Marchi.
Si cita, poi, l'enorme successo delle trasposizioni televisive sia della saga de L'Allieva sia di Costanza, dovuto certamente alla magistralità attoriale degli interpreti e della regia ma, soprattutto, alla minuzia con cui la scrittrice ha curato l'adattamento sul piccolo schermo dei propri titoli - seppure, talvolta, abbia dovuto accettare delle modifiche necessarie.
Attraverso la sua capacità di raccontare personaggi verisimili, che, senza doti fuori dall'ordinario, diventano riconoscibili proprio per la loro umanità e i loro tratti comuni, Alessia Gazzola ci mostra la curiosità in una nuova ottica, poiché è essa a trasmettere la bramosia del sapere e della scoperta, che non ci rende mai sazi del mondo, bensì sempre propensi a scovarne verità nascoste.