05 | 09 | 2025

Ritratto di Goldoni a Mantova

Il rapporto tra commediografo e attori raccontato da Luca Scarlini, Giovanni Franzoni e Maria Grazia Mandruzzato

È a Mantova, secondo Luca Scarlini, che Goldoni capisce che per scrivere le proprie pièces teatrali ha bisogno di frequentare e conoscere gli attori.

«Che entrino allora in scena gli attori!» annuncia il narratore a inizio spettacolo, e in effetti sono loro, interpretati da Giovanni Franzoni e Maria Grazia Mandruzzato, i veri protagonisti della serata. La ricostruzione storica è limitata ai fatti essenziali, anche se Scarlini non manca di regalare agli spettatori qualche aneddoto curioso – come quello sul colore viola, che porterebbe sfortuna indossare a teatro perché era il colore degli abiti dei cardinali e dei vescovi, i quali avevano il potere di bloccare uno spettacolo per sempre. Al centro ci sono le opere e la lettura scenica si trasforma in un vero e proprio esercizio di recitazione. La scenografia resta assente, ma si gioca con l’architettura del magnifico Teatro Bibiena, con Mandruzzato che a un certo punto abbandona il palco per salire sulle balconate, mentre Scarlini, nei panni del commediografo, rimane seduto in un angolo a guardare per gran parte del tempo.

Se la Parte Prima della sera precedente aveva stimolato principalmente l’udito del pubblico, con la Parte Seconda lo spettacolo diventa un’esperienza visiva. La rappresentazione delle commedie – seguono, in ordine cronologico a La vedova scaltra, La Pamela nubile e L’adulatore della sera precedente, Le femmine puntigliose, La bottega del caffè e Il bugiardo – è preceduta da alcune danze e recite di cicisbeismo scenico, con cui Scarlini ci introduce all’atmosfera del teatro settecentesco. La danza dei baci, il gioco dei ventagli nervosi, la logica degli inchini: sono questi i gesti mimici attraverso cui si esprimono le maschere della commedia dell’arte ed è questo patrimonio, proveniente dalla comicità popolare, che Goldoni deve provare a nobilitare e a riportare in letteratura. Gli attori con cui il commediografo lavora sono abituati a improvvisare e la difficoltà più grande consiste proprio nel convincerli a limitare l’interpretazione personale e a seguire il testo. Fino a quel momento, il copione era detto "canavaccio" e consisteva in una bozza senza dialoghi con situazioni comiche potenziali - sempre le stesse, volte ad intrattenere lo spettatore. La riforma goldoniana segna dunque il passaggio dall’improvvisazione al testo scritto, ma Goldoni sa bene di non poter dare vita a un vero cambiamento senza gli attori dalla propria parte, inglobando nella propria scrittura quelli che sono i loro punti forti e non privandoli così del piacere di recitare.

Le commedie, infatti, sono scritte in modo che si adattino alla personalità dei singoli interpreti, come Cesare D’Arbes, il Pantalone della compagnia e il primo a togliersi la maschera. È proprio a Mantova, però, che Goldoni compone la prima commedia integralmente senza maschere, La Pamela nubile, inaugurando la commedia dei caratteri. Ed è sempre nella città lombarda che ne Il bugiardo l’autore fa ricorso per la prima volta ai dialetti bergamasco e veneziano come mezzi espressivi. È così che le commedie rappresentate, mentre mettono in scena la feroce critica goldoniana ai valori dell’Ancien Régime, ripercorrono le tappe principali della riforma compiuta da quello che per Scarlini è uno degli autori più divertenti e spietati che l’Europa abbia mai avuto.