Il luogo accogliente della poesia, è abitato anche dall’assenza.
Sicuramente non l’assenza dell’autrice Simona Menicocci, presente con i propri versi e con un brano in anteprima da Si fa per dire, di prossima pubblicazione, letto dalla poeta Marilena Renda. Un regalo che ci apre al suo mondo, alle scelte di ritmo e di lessico per una poesia contemporanea, in cui ci conduce per mano Stefano Bottero: nelle parole e ripetizioni di Menicocci si apre uno spazio che si scontra con la proprietà; uno spazio che, con le sue assenze, non basta per essere abitato, ma apre al desiderio di possessione da parte del lettore.
Questo bisogno incontra così anche la poetica di Cinema Persefone, dove Marilena Renda gioca sul bisogno che questa proprietà sia parte del lettore, che la possa sentire, sapere cosa ogni assenza, ogni parola ha da dirgli. In una lontananza apparente, Renda cela il vissuto condiviso della pandemia: paragona il proprio libro ad una scatola sonora, un luogo chiuso in sé stesso, contenente echi e riverberi dal passato e dall’esterno presente, che armonizzano in una sonorità quasi claustrofobica. Rumori ovattati. Silenzi.
È infatti anche l’assenza di voce che guida la ricostruzione del mito di Persefone, che, nonostante sia noto proprio per il nome della protagonista, la vede come oggetto (non soggetto) conteso dalla madre Demetra e dal re degli inferi Ade.
Uno strappo dal proprio ambiente, dalla propria vita, con cui Persefone sembra scendere a compromessi nel mito, ma non nella poesia, dove sceglie di non accettare in silenzio la violenza che si cela dietro al rapimento: «se dite la mia storia non trascurate la violenza che non è stata raccontata eppure c’è stata». Nel suo Cinema, Renda usa infatti le parole, i suoni, le immagini, per tradurre in corpo l’esperienza di Persefone, lasciandole il proprio spazio, che nella realtà non esiste più (il Lago di Pergusa, dove è ambientato il mito, è scomparso a causa dell’ondata di caldo estremo del 2024). Uno spazio che quindi è ricreato - e preso - nella possibilità di dare la propria versione della storia, vendicando idealmente tutte quelle donne (non necessariamente mitologiche) che non hanno avuto l’occasione di raccontarla.
Una storia, quella di Persefone, fatta di luce e ombra: forse specchio della natura dell’amore, fatta di incontri tra luci e incontri tra ombre (come Ade e Persefone), di momenti pubblici e segreti.
Ma anche di trasformazione.
Citando C.S.Lewis, quando in Diario di un dolore dice «quello che viene tolto e quello che viene ridato non sono mai la stessa cosa», Bottero e Renda aprono al tema di attraversare il buio, la sofferenza, non per uscirne migliori (come infaustamente auspicato durante il lockdown), ma per uscirne diversi. Magari immortali - come Bella che si innamora del vampiro “bello e tenebroso” e, pur nella sofferenza, ne condividerà il destino in Twilight - riflettono divertendosi Renda e Bottero. O più semplicemente simili a sé stessi, portando con sé un segreto non condivisibile. O ancora, partorendo cinque figlie nel mondo immobile degli inferi, come Persefone, che essendo luce non porta rovina (al contrario delle donne “tenebrose” elencate ne Il mostruoso femminile di Jude Ellison Sady Doyle), ma porta un cambio di stagione. O semplicemente, un cambio di prospettiva.
Bottero e Renda ricordano che gli occhiali della poesia sono fondamentali per imparare a riconoscere con occhi diversi quel male che, inevitabilmente, si nasconde a cielo aperto per le strade del mondo.
James Hillman sosteneva che la poesia ci dà la morte. Forse, quello che la poesia fa, non è altro che insegnarci a guardarla e viverla in maniera più umana. Ad addomesticarla e tenerla vicina. Renda, con la sua poesia, ha restituito per gli occhi del lettore una dimensione più umana a Persefone, che qui sceglie di addomesticare la morte, sposandola.
In una riflessione finale, Renda ci lascia però con un interrogativo, colmabile, forse, con la lettura di Cinema Persefone: se in amore ci si snatura, diventando ciò che non si è, cosa resta di Persefone?