«Il tempo in cui siamo destinati a vivere ha molto a che fare con gli addii»
sostiene Marija Stepanova, in dialogo con Elvira Mujčić. Secondo la scrittrice russa oggi ognuno si trova in una condizione di congedo rispetto al mondo che lo circonda e, in parte, anche rispetto a se stesso. È in queste circostanze di cambiamento che la memoria resiste come unico appiglio.
Nelle opere di Marija Stepanova la memoria ricopre il ruolo principale, talvolta come ponte con il passato, in altri casi come spinta a cercare una nuova dimensione futura. La memoria, anche quella individuale, ha un impatto collettivo e sociale e proprio per questo è possibile per ognuno trovare nel proprio passato le radici del mondo presente. È la somiglianza dei vissuti che porta le persone a raccogliersi in una comunità, più di quanto non faccia l’abitare su uno stesso territorio.
Il linguaggio è uno degli strumenti attraverso cui la memoria viene veicolata e quindi plasmata a livello pubblico. È con tristezza che l’autrice guarda al ruolo attribuito alla sua lingua madre, strumentalizzata fino a diventare mezzo di oppressione e violenza. Da quando nel 2019 Kyiv ha reso obbligatorio l’uso dell’ucraino in determinati contesti statali, fino ad allora esposti anche alla lingua russa, molti hanno iniziato a parlare di minaccia nei confronti delle popolazioni russofone dell’Ucraina orientale. A questo proposito c’è da chiedersi se si possa continuare a scrivere in russo e come questo si possa fare in modo etico. Marija Stepanova sceglie di continuare ad utilizzare la sua lingua, con l’obiettivo di ridarle dignità, di spogliarla dalle vesti violente che le sono state attribuite, con l’obiettivo di riparare l’abuso che ha subito. È questo il modo di impedire una rivisitazione del passato e di cambiare il futuro.
Nello stesso modo in cui una lingua può cambiare forme e assumere poteri diversi, anche un luogo può mutare e avere una valenza nuova col passare del tempo. È questo il caso della propria patria, che Marija Stepanova non riconosce esattamente come una casa. Se dovesse tornare in Russia, ipotesi per l’autrice remota, pensa che non sarebbe in grado di riconoscere i volti che aveva lasciato, le comunità che conosceva sono ora per lei sparite. A Stepanova comunque non piace usare il termine “ritorno”, convinta che la storia personale, così come il tempo, si muova in una sola direzione e che quindi anche i periodi di lontananza dal Paese di origine possano covare un potenziale di cambiamento e trasformazione. Se poi si dovesse scegliere di ristabilirsi nella propria terra natale, si tratterebbe comunque di un progresso, un avanzamento.
La letteratura, soprattutto la poesia, riuscirebbe a adempiere al ruolo di “casa”. I versi altrui sono in grado di offrire conforto ed essere un rifugio per tutti coloro che si sentono in esilio.