In dialogo con Giorgia Tolfo, Melania G. Mazzucco ed Eloisa Morra riflettono sul valore della scrittura al femminile e sul suo ruolo nel restituire visibilità a figure cancellate dalla narrazione ufficiale.
Il loro percorso creativo nasce da una ricerca d’archivio e bibliografica, avviata da un “silenzio”: una mancanza che diventa occasione per riscattare un destino dimenticato. Tutto parte dall’incontro con un’opera d’arte realizzata da una donna, scintilla che accende il desiderio di ricostruirne la storia a partire da frammenti, testimonianze e rare immagini di repertorio. La scrittura si intreccia strettamente con la ricerca, dando origine a un legame profondo tra l’autrice e la protagonista: un inseguimento che richiama il viaggio di Orfeo ed Euridice, sospeso tra il desiderio di riportare alla luce ciò che è perduto e la consapevolezza che parte di quella realtà rimarrà per sempre inafferrabile.
Mazzucco, con Silenzio. Le sette vite di Diana Karenne, dedica il romanzo a Diana Karenne (1888-1940), attrice, regista e artista polacca attiva nel cinema muto italiano. Nel ricostruirne la vicenda, si imbatte in una biografia segnata da vuoti e frammentarietà, ma anche in un contesto culturale vivace, animato da molte donne che durante la Prima guerra mondiale portarono avanti il cinema mentre gli uomini erano al fronte. Un patrimonio poi rimosso e bollato come “cinema delle donne”.
Morra, con Accendo la mia luce e divento me stessa, racconta invece Florine Stettheimer (1871-1944), pittrice e artista statunitense – ma anche scenografa, poetessa e costumista – attiva nella New York dell'Età del Jazz. La sua opera, eccentrica e poliforme, riflette una formazione tra Stati Uniti ed Europa e intreccia espressionismo e femminismo, collocandosi fuori dagli schemi della tradizione ufficiale, motivo per cui è stata a lungo marginalizzata.
Karenne e Stettheimer furono artiste “pericolose”: originali, anticonformiste, capaci di infrangere le regole del loro tempo. Figure eclettiche, che lo sguardo maschile ha spesso ridotto a stereotipi, imprigionandole in categorie rigide. La sfida di Mazzucco e Morra è stata liberarsene, per restituire un ritratto autentico e complesso di donne ribelli e non catalogabili.
La scarsità di fonti e i molti “silenzi archivistici” rendono ancora più importante una ricerca sullo sguardo femminile che sia in grado di coglierne l’anticonformismo e la forza creativa, a fronte di un mancato riconoscimento e della frequente invisibilizzazione da parte del mercato e della critica. Ne emergono due ritratti intensi e vitali, restituiti con sensibilità e attenzione.
L’incontro si conclude con una domanda di Giorgia Tolfo sul momento della “separazione”: come sia stato lasciare andare le protagoniste. Mazzucco paragona la scrittura a un’esperienza amorosa, un rapporto intimo in cui la separazione non è mai definitiva, perché il legame continua oltre la pagina.
Così, Diana Karenne e Florine Stettheimer tornano a vivere attraverso i romanzi, restituite nella loro unicità e nella loro forza. Due artiste fuori da ogni schema, capaci di sfidare il proprio tempo, che Mazzucco e Morra hanno inseguito e ritrovato, ridando loro voce, identità e memoria.