«La prima cosa è il cuore»
Tutte le pratiche del sufismo sono dedicate alla purificazione del cuore e a mettere quindi il cuore al di sopra della mente. In questi termini Amal Oursana ci parla della sua esperienza di vita di medico a contatto con sufismo e taoismo.
Il cuore è fondamentale, in grado di generare un campo elettromagnetico e di influenzare gli altri organi. Nella medicina taoista ogni emozione è contenuta, è sentita, da un organo diverso e tutte le emozioni sono sentite dal cuore. Il cuore è il centro della coscienza che sale di giorno verso il cervello e che scende di notte nel cuore. Noi possiamo regolare il nostro cuore se ci rivolgiamo finalmente all’interno di noi stessi e non più solo all’esterno.
Dobbiamo diventare consapevoli di poterlo fare, per arrivare all’unità, al potere creativo e decisionale. Il maestro sufi insegna queste cose nel silenzio, e per poterlo ascoltare dobbiamo fare silenzio anche noi, frequentare il vuoto. Un concetto espresso anche da René Guénon, una lettura molto importante nell’ambito della ricerca personale, oppure da Farid addin ‘Attar con il suo Il verbo degli uccelli. Perché un modo di insegnare è anche quello di raccontare storie, in quanto le storie sono rappresentazioni del mondo, senza giudizi. Nel cammino sufi ci si dimentica di giudicare gli altri, perché gli altri siamo sicuramente noi. Se infatti abbiamo davanti un malvagio, quella malvagità è anche la nostra. E così le poesie mistiche di Jalal-al Din Rumi, le storie della mistica Rabi’a o le quaranta porte di Elif Shafak. Occorre elevarsi. E le cerimonie come quella dei Dervisci rotanti hanno lo scopo di far ascoltare i cuori. Si lascia la mente ordinaria, dualistica, per entrare nell’unità, in un campo di coscienza elevato.
I sufi sentono il bisogno di isolarsi (“suf” significa lana, e gli indumenti di lana indossati da queste persone isolano dal caldo e dal freddo) per entrare in contatto con il centro di coscienza, per sottomettere l’ego ed esaltare il cuore, perché quello che ci circonda è affascinante e ci distrae costantemente: la forza che abbiamo la dobbiamo rivolgere verso il nostro interno. Il sufismo nasce proprio per ritrovare l’unità e la bellezza delle parole del profeta. Parole che possono trasformarsi anche in un mantra grazie alla tecnica dello dhikr, una pratica del ricordo di Allah mediante la ripetizione di parole, fino ad essere in grado di ascoltare il proprio intuito che sussurra (e non urla come il nostro ego). Si arriva così all’assenza della mente e al nostro ingresso all’interno della coscienza.
Occuparsi della propria salute è fondamentale. La malattia infatti si può affrontare sul piano spirituale attraverso un processo di ascolto compassionevole, per arrivare a capire cosa non va. La mente deve rimanere lucida: solo così possiamo arrivare alla soluzione del problema. Il paziente ha bisogno di ritrovare un ordine e ha bisogno di qualcuno che lo aiuti a comprendere e a sistemare quello che non va. Ovviamente servono le cure mediche, ma cerchiamo anche qualcosa di più profondo, cerchiamo di lavorare più in profondità. Anche se le emozioni ci confondono, se la paura ci blocca e non riusciamo più a ragionare. Ascoltiamo quindi in maniera diversa e affidiamoci. Rafforziamo la fiducia nel prossimo, così come ci affidiamo ciecamente al divino.