All’evento di cui è stata ospite, Adania Shibli ha parlato dell’uso della lingua e della difficoltà ad impiegarla a seguito dei momenti drammatici che hanno vissuto lei e la sua famiglia.
Capita che i bambini, a seguito di eventi traumatici, smettano di parlare. È più raro che succeda agli adulti, ma è comune che non parlino degli eventi che hanno segnato la loro vita in senso fortemente negativo. I genitori di Adania ne erano il caso, non le avevano mai parlato di quello che era successo nel 1948 in Palestina, e lei, accecata dalla rabbia, non riusciva a compatirli. La situazione è cambiata quando anche lei ha vissuto i primi attacchi e ha compreso il motivo dei loro silenzi. È stata la Palestina a insegnarle a «trattare la lingua, la stessa che viene usata per distruggere».
Ogni parola che usiamo, ha un significato differente a seconda del contesto storico e geografico in cui ci troviamo. Parole come «Gaza» o «Deserto» evocano oggi immagini diverse rispetto a quelle che avrebbero richiamato nel 1948. Il linguaggio viene comunemente definito come uno strumento che permette la comunicazione, l’espressione dei sentimenti e dei propri pensieri, ma Adanaia è in parziale disaccordo con tale affermazione. Lei vede il linguaggio come un essere vivente, che nasce e, soggetto al tempo, invecchia, cambiando continuamente. Le due affermazioni sono ugualmente vere e non si escludono. Nella storia della letteratura per esprimere gli stessi sentimenti di amore, odio e dolore nei secoli sono state usate delle forme completamente diverse, dalla poesia, alla prosa, fino agli ideogrammi.
Un esempio di crisi del linguaggio è il futurismo, i cui autori non riuscendo ad esprimere il loro disagio interiore dovuto alla guerra e alla corruzione rinunciano completamente alla forma, gettando le loro parole su fogli senza un’apparente coerenza. Così anche la nostra ospite ha cercato una forma di linguaggio che potesse rispecchiare la sua situazione. Nel suo libro Dettaglio Minore si avvale di due linee temporali e spaziali, mettendo in un solo romanzo due libri discordanti dal punto di vista linguistico e formale. Questo perché la Palestina in cui cresce non ha una forma, viene raccontata diversamente dai canali ufficiali dei vari Paesi, privando della propria dimensione le persone che la abitano. La stessa storia della Palestina risulta spezzata, proprio come il linguaggio. Non si può definire l’inizio della guerra, perché ci sono sempre degli eventi precedenti, spesso dimenticati, che sono estremamente fondamentali per capire la situazione in modo completo.
In questo contesto la letteratura diventa importantissima. Quando si trovano le parole, queste conferiscono una nuova umanità alle persone che la scrivono e la leggono. A volte sono dalla parte del nemico e tradiscono, ma deve essere chi le usa a scegliere l'accezione, e chi le legge a scegliere come interpretarle. È un «modo di esistere nel mondo», che permette di non essere mostri in un mondo distrutto e dimenticato.