In occasione del Cinquecentenario di Palazzo Te, Festivaletteratura ci porta indietro nel tempo, invitandoci a immaginare quali autori sarebbero stati ospiti se il Festival si fosse svolto nel secolo della rivoluzione tipografica. Nel 1525 sono pubblicati quattro libri che da soli riescono a restituirci il senso di un’epoca: il De servo arbitrio di Martin Lutero, le Prose della volgar lingua di Pietro Bembo, la nuova edizione delle Commedie di Aristofane a opera di Bernardo Giunta e il Libro de natura de amore di Mario Equicola. È di quest’ultima opera, sconosciuta ai più, che Emanuele Lugli, accompagnato da Martina Dal Cengio ed Emilio Russo, ci svela temi, riferimenti e modelli. Sono numerosi i testi letterari cinquecenteschi che raccontano l’amore o che riflettono su di esso, ma Equicola, cortigiano rinascimentale che studia legge a Napoli, lavora alla corte di Ferrara come ambasciatore e presto diventa un intellettuale al servizio degli Este e dei Gonzaga a Mantova, fa un lavoro di ricerca mai fatto prima da nessun altro. Il risultato che dà alle stampe è una vera e propria enciclopedia sull’amore, un’esamina di tutti i modi in cui il sentimento amoroso può essere ed è stato descritto dalla letteratura classica fino agli autori più recenti.
Oggi quasi dimenticato, è un libro che al suo tempo ha avuto un grande successo e che ha contribuito a rilanciare la riflessione su che cosa sia l’amore. Equicola dedica tutta la sua vita alla ricerca di una risposta a questa domanda, nata come spesso accade nel momento in cui in giovane età si innamora per la prima volta, giungendo a pubblicare, un mese prima della sua morte, cinquecento pagine fittissime di riferimenti alla poesia, alla filosofia, alla teologia, alla scienza, alla medicina e all’astrologia che fanno del Libro de natura de amore un testo fortemente interdisciplinare. Lo scrittore, infatti, capisce che per parlare dell’amore non è sufficiente affidarsi soltanto ai filosofi naturali o ai teologi, ma si deve interpellare prima di tutto i poeti, perché essi hanno avuto un ruolo fondamentale nel raccontare il sentimento in tutte le sue sfumature. È così che se il primo modello resta Platone, moltissimi riferimenti sono tratti per esempio da Gli Asolani di Bembo, a testimonianza della profonda ed eterogenea erudizione di Equicola, ma anche e soprattutto dell’impossibilità di trovare una definizione univoca dell’amore. Noi stessi non sappiamo ancora spiegarci tale sentimento, e infatti antropologi, psicologi, neurobiologi ne danno interpretazioni diverse. Il Libro de natura de amore, perciò, può rappresentare tuttora una mappa per orientarsi fra quelle domande che continuiamo a porci e fornirci nuove chiavi di lettura.
Una delle questioni fondamentali trattate nell’opera è la differenza tra anima e corpo: dove nasce l’amore? Nello spirito o negli occhi? È una questione cognitiva o semplicemente un piacere sensoriale? Perché ci si innamora di una persona e non di un’altra? Lo scrittore non ha le risposte, ma ci dà degli strumenti per cominciare a trovare delle ragioni a ciò che stiamo provando. Nel trattare la psicologia delle emozioni, inoltre, Equicola trova posto anche per la storia dell’arte. Nel II capitolo, infatti, analizza l'iconografia di Cupido, il simbolo per eccellenza dell’amore: identificandone le caratteristiche, possiamo comprendere meglio anche la natura del sentimento amoroso. Giovane o anziano, nudo o armato, cieco o capace di vedere, malinconico o ridente: lo scrittore arriva così a tracciare una serie di profili mostruosi della divinità, capendo che il problema consiste proprio nella natura chimerica dell’amore. Non soltanto i poeti, quindi, ma anche i pittori sono considerati da Equicola i maestri di tale sentimento e ciò rivela tanto anche del livello di emancipazione degli artisti all’interno della corte mantovana. Il Libro de natura de amore, dunque, è caratterizzato da una forte dimensione collettiva, dove parole e immagini collaborano nel titanico tentativo di risolvere l’enigma dell’amore.